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La Casta ha paura di Grillo ma il vero pericolo sono gli anti-Monti

Giampaolo Pansa nella vignetta firmata da Benny

La discesa in campo dell'anti-politico terrorizza i partiti però fa più danni chi cerca di far cadere il prof

Giulio Bucchi
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  Le pornostar! Ecco che cosa manca a Beppe Grillo. Se fosse un vero volpone, dovrebbe festeggiare l'assalto alla baracca politica insieme a un plotone di bellezze nude e pronte a tutto. Si comportò così nel luglio 1987 Ilona Staller, in arte Cicciolina, eletta in Parlamento dai Radicali, con la lista dei Federalisti europei. Nella giornata inaugurale della legislatura, arrivò in piazza Montecitorio con un seguito di ragazze super maggiorate. La più intrigante era Moana Pozzi, 26 anni, nove meno di Ilona. Ma anche le altre bucavano il video: Ramba, Hula Hop, Petra, Squinzia selvaggia.  Ebbe inizio un pomeriggio indimenticabile. Strip in pubblico di Moana e C. Esibizione trionfale di tette extralarge. Poliziotti angosciati. Granatieri di guardia immersi nel sudore. Grida. Spinte feroci. Sangue sul viso di un cameraman. Aria da lunapark di quart'ordine. Ma il successo mediatico fu travolgente. Tanto che siamo ancora qui a rammentarlo. Purtroppo per lui, Beppe è brutto, piccolo, grasso, con l'aria strafugnata. Non è neppure di primo pelo. In luglio compirà 64 anni, tre più di Bersani, addirittura ventidue più di Alfano. Per far dimenticare le rughe, dovrà arruolare anche lui qualche pornostar ventenne. L'espediente forse lo aiuterà a conquistare un posto in Parlamento e lì scoprirà di aver sbagliato tutto. La casta di oggi e di domani lo piallerà. E il povero Grillo rimpiangerà il mestiere del comico errante.  Per questo non capisco le follie che mettono in mostra i partiti dopo la discesa in campo di Grillo. La casta sembra in preda al terrore. Pensa che il comico genovese sia il ferro di lancia dell'antipolitica. Senza rendersi conto che se il rifiuto dei partiti vincerà, non sarà lui a trarne il vantaggio più grande. Vogliamo dirla tutta? Ogni volta che un sistema parlamentare è andato in tilt per i propri errori, al potere non sono arrivati i teatranti, bensì i militari. È accaduto così in Grecia, in Argentina, in Cile. Al posto di comici che sparano contumelie sarcastiche, il pallino è andato nelle mani di gente che sparava pallottole. Tutti i sistemi autoritari si reggono su cataste di cadaveri. Ci ricordiamo quel che accadde con il comunismo totalitario di Lenin e di Stalin? E con il nazismo di Hitler e il fascismo di Mussolini?  Non rammento se Grillo abbia già bollato come fascista il blocco dei partiti italiani. In compenso ho visto il giornalista Piero Ostellino scagliare questa accusa non contro la casta politica, bensì contro il premier Mario Monti che sta tentando di rimediare agli errori della partitocrazia. Ho sempre avuto stima per Ostellino. Quando dirigeva il Corriere della sera, negli anni fra il 1984 e il 1987, mi è capitato di ingaggiare qualche polemica con lui. Piero aveva pubblicato sul Corriere un articolo di Leonardo Sciascia che bollava il magistrato Paolo Borsellino come un professionista dell'antimafia. Bastò questo per eccitare i miei furori contro uno scrittore che pure amavo molto.  Alla contesa prese parte Ostellino. Scrisse sul Corriere che noi critici di Sciascia eravamo «chierici del pensiero totalizzante». Poi ci regalò il seguente avviso di reato: «L'antimafia rischia di trasformarsi in una sorta di mafia, sia pure di segno contrario». Ma queste sono storie vecchie. Oggi Ostellino se la prende con un bersaglio nuovo, vivo e vegeto. In una lettera al Foglio e in un'intervista concessa a Libero, è stato ben più pesante del tragico Grillo. A sentire Ostellino, Monti è eguale a Mussolini. Il premier ha instaurato una dittatura fiscale che «ci sta rubando le libertà civili». La prova? L'obbligo imposto alle banche di consegnare ogni anno all'Agenzia delle entrate gli estratti dei nostri conti correnti.  Piero osserva: siamo come nel 1922, quando il fascismo conquistò il potere. Con una variabile: potremmo diventare uguali alla Repubblica democratica tedesca, quella del film «La vita degli altri», con tanto di intercettazioni che mettono il naso nel nostro stile di vita. Insomma non avremmo scampo: o una dittatura nera o «un regime totalitario di socialismo reale a cui il governo Monti evidentemente si ispira».  Devo aprire una nuova contesa con Ostellino? Non ci penso neppure. Stimo molto Piero, mi ha difeso quando pubblicai «Il sangue dei vinti», il suo rigorismo liberale è di grande utilità in un paese di pataccari politici. Il vero guaio è un altro: l'insieme delle trappole che vengono tese al governo dei tecnici. E che oscillano fra due estremi. Il primo è di accusare un governo nato appena sei mesi fa di non essere riuscito a guarire l'Italia da malattie vecchie di decenni, come l'immensa evasione fiscale e l'ammontare spaventoso del nostro debito pubblico. Il secondo estremo è di darsi troppo da fare con un unico scopo: distruggere il poco che resta del nostro sistema politico a vantaggio di un misterioso golpe dei tecnici.  I lettori di Libero hanno capito da un pezzo che sono un tifoso del governo Monti. E immagino che parecchi di loro non apprezzino la mia posizione. Ma come ha riconosciuto Ostellino nell'intervista a Libero, tra i doveri di un giornalista c'è quello di esprimere dei giudizi anche quando non dovessero coincidere con quelli dei propri lettori. Tuttavia oggi mi sono stancato di difendere Monti, i suoi ministri e, di riflesso, il presidente Napolitano, padre di questo governo. Il motivo è semplice: dovrei ricordare ogni volta delle verità che stanno sotto gli occhi di tutti. La prima è che Monti e quanti lo affiancano sono dei volontari, identici ai giovani della Protezione civile. Potevano restarsene a casa per seguitare a occuparsi delle loro professioni, ben più lucrose.   La seconda verità è che i tecnici debbono lavorare ogni giorno tentando di schivare le trappole tese dai partiti, già stanchi di appoggiarli. Leggo di tentativi assurdi per arrivare a un'elezione anticipata in ottobre. Un apprendista stregone che mira a questo risultato è un superstite della vecchia partitocrazia, un fantasma del calibro di Massimo D'Alema. Da alchimista confusionario, Max sta progettando formule su formule per arrivare alla vittoria. Un'alleanza fra il Pd, la Sel di Vendola e l'Idv di Di Pietro. Oppure un patto fra Bersani, Casini e Vendola, senza Di Pietro. Prima o poi ne verrà inventata un'altra, fra Bersani, Di Pietro e Grillo, dal momento che l'antipolitica può essere sconfitta soltanto se ci vai a letto insieme.   Ma la trappola più insidiosa è sostenere che il governo Monti abbia esaurito la propria missione. Il sottoscritto la pensa nel modo opposto. E qui siamo alla terza verità che sta sotto gli occhi di tutti. È molto amara e per niente facile da accettare. L'Italia non è affatto guarita. Anzi, resterà malata ancora per parecchio tempo. Ci aspettano anni di grande difficoltà. Con una crescita molto lenta e tanta cinghia tirata. Il prezzo più alto lo pagherà chi possiede di meno. Ma pure chi possiede qualcosa, frutto del proprio lavoro, dovrà vedersela con demagoghi assai più robusti del comico Grillo.  Se è questa l'aria che tirerà, risulta privo di senso e molto pericoloso il lavorio per sopprimere il governo Monti. Chi potrebbe prendere il suo posto e muoversi con l'indispensabile rigore? Per il momento nessuno lo sa. L'Italia è un piccolo vascello che naviga in un mare tempestoso tra banchi di nebbia fitta. Speriamo di non sbattere contro uno scoglio invisibile, capace di mandarci a picco. di Giampaolo Pansa  

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