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Filippo Facci: Niente

Giulio Bucchi
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Sarebbe divertente, un bel giorno, pubblicare le intercettazioni tra Massimo Ciancimino e i tanti giornalisti che per anni hanno amplificato le sue balle: ma non basterebbero due edizioni di Libero. È sufficiente questo spazietto, in compenso, per sintetizzare che cos'è rimasto delle propalazioni di questo «teste chiave» del processo sulla trattativa, questa «icona dell'antimafia» così definito da Antonio Ingroia, questo ex scortato a spese nostre, gradito ospite di talkshow e di Festival dell'Unità e del Giornalismo, autore di libri Feltrinelli col povero Francesco La Licata, falsificatore di documenti e «papelli», erede di tesoretti, evasore fiscale, inventore di un «signor Franco» ponte tra Stato e Mafia, sputtanatore di galantuomini e perciò processato, inventore di somme cazzate (su Berlusconi, Dell'Utri, Ustica, cattura di Riina, latitanza di Provenzano, caso Moro) e naturalmente cocco di Marco Travaglio, quello che ha lasciato lo studio come se avesse mangiato troppa peperonata. Che cos'è rimasto, dunque? Vedi titolo. Fa eccezione l'aver costretto alla testimonianza personaggi che hanno detto, pure loro, poco o nulla d'importante: come l'ex presidente della Camera Luciano Violante, l'ex dirigente del ministero della Giustizia Liliana Ferraro o l'ex Guardasigilli Claudio Martelli, che a parere del tribunale ha avuto ricordi «non sempre limpidi» nonché «largamente influenzati un'inclinazione a rappresentarsi come un puro paladino dell'antimafia». Un altro.  di Filippo Facci

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