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Papa Francesco, Filippo Facci: "Il meno carismatico della storia. E la gente non va più in chiesa"

Andrea Tempestini
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L'espressione «da quale pulpito» è di provenienza porporale, ma nel gergo comune indica chi predica bene e razzola male. Anche l'espressione «pontificare» è di provenienza porporale, ma comunemente indica chi assume un atteggiamento sussiegoso nella presunzione di dire cose importanti. Il problema è che le due espressioni, qui, vengono rispedite al mittente perché a pontificare (e da quale pulpito) è tornata a essere la Chiesa dei vescovi. In sostanza, dal primo gennaio, la Chiesa si è messa a promuovere una campagna contro l'astensione dal voto. Ha cominciato il vescovo di Como, Oscar Cantoni, che nella sua omelia dell'ultimo giorno dell'anno ha detto che «mancare al voto è da considerarsi un peccato di omissione», e di passaggio che «i leader politici populisti non possono assumere responsabilità di governo». Leggi anche: "Vuole abbattere la chiesa": Bisignani contro il Papa Poi, immediatamente dopo il giro di boa del 2018, eccoti la conferma più autorevole possibile: quella dell'Osservatore Romano, organo della Santa Sede, insomma del Papa. Il primo gennaio, a tre mesi dalle elezioni politiche, ha scritto del rischio di «alto astensionismo» riprendendo l'espressione usata nel discorso di fine anno dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e ha paventato che «nessuno degli schieramenti che si presenteranno alle urne» sia in grado di governare con una maggioranza solida. Manca nessuno alla campagna? Beh, Avvenire, il quotidiano della Cei (i vescovi) che a sua volta ha ripreso Mattarella e tutto il discorso sui pericoli dell'astensionismo e dell'instabilità. Insomma, ci sono tutti, e tutti a questo punto meritano la domanda: da quale pulpito pontificate, monsignori? Tanto per cominciare, fu proprio la Chiesa a teorizzare e a promuovere l'astensione quando le faceva comodo: accadde nel 2005 per il referendum sulla procreazione assistita. Siccome era noto che la maggioranza dei votanti si sarebbe espressa a favore (democraticamente) la Chiesa non si preoccupò di sostenere le ragioni del “No”, ma di far fallire direttamente il referendum invitando a non votare affinché il quorum non fosse raggiunto. Contava il risultato, non la democrazia: e l'ebbero vinta. Poi, sempre a proposito di pulpiti e di prediche, vien da chiedersi con quale legittimazione la Chiesa tuoni contro l'astensionismo (e annesse colpe della politica) quando proprio sotto il papato di Bergoglio si è raggiunto il vertice dell'astensione degli italiani dalle chiese, che ormai sono vuote. I dati Istat sono quelli che sono: entra in chiesa una volta alla settimana una persona su quattro. E sono sempre meno: durante il pontificato di Benedetto XVI la partecipazione superava il 30 per cento. La percentuale di chi non mette mai piede in chiesa è aumentata dal 18,2 per cento (nel 2007) al 23 di oggi. E non parliamo neppure del mondo giovanile: nel segmento tra i diciotto e i 24 anni si è perso il 30 per cento degli osservanti. Altro che «effetto Bergoglio». Popolare e soprattutto mediatico, secondo le cifre, Papa Francesco mantiene stabile soltanto il numero di coloro che si professano genericamente cattolici non praticanti (come per non sbagliare) e che al massimo vedono il Papa in televisione, un po' come capita a una politica sovraesposta con cui la Chiesa condivide un medesimo destino: una banalizzazione, un effetto overdose da mediaticità che ne rende sin troppo squallidamente terreno il magistero. Papa Francesco è senz'altro il pontefice meno carismatico della Storia, e ora spiega alla politica come c'è riuscito. Ma la politica, ormai da molto tempo, ha già fatto da sé. Da quale pulpito. A quale pulpito. di Filippo Facci @FilippoFacci1

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