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Mario Segni: "Renzi decide tutto da solo. La Boschi non conta niente, Padoan verrà fatto fuori. E a Berlusconi e Fini l'avevo detto..."

Giulio Bucchi
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Professor Mario Segni, ci siamo. «Dice? Io non ne sarei così sicuro». I senatori hanno appena segato il ramo su cui sono seduti. «Sarà, ma per me questa riforma è una mezza bufala, non tocca i veri problemi della governabilità». Lei è quello che più di tutti si è impegnato a cambiare la Costituzione in questi ultimi 30 anni, riuscendoci solo in parte. Renzi pare ci stia riuscendo sul serio. Lo considera un suo figlio? «Renzi è indubbiamente l'ultimo frutto del movimento referendario che avviammo vent'anni fa. Non sarebbe esistito senza i referendum, di cui le primarie sono l'ultima evoluzione. Tutta la sua storia, dall'elezione a sindaco alla scalata nel Pd alla sconfitta e poi vittoria alle primarie, è un prodotto di questo percorso. In questo senso, certo, Renzi è figlio di noi referendari». È lui il «sindaco d'Italia» che lei sognava già nel 1996? «No, guardi, Renzi sta facendo tutto tranne che il sindaco d'Italia. Credo che lui e la Boschi non sappiano neanche cosa sia. Il primo accordo con Berlusconi, il patto del Nazareno prima versione, che era basato su una legge elettorale fortemente maggioritaria, sembrava veramente ispirato a quel progetto lì. Che invece vedo molto annacquato nelle riforme di questo governo». Come fa a dire che Renzi non è il sindaco d'Italia quando il suo consenso è alle stelle? «Non è stato mai eletto a Palazzo Chigi. Finora ci sono state solo le Europee». Quel 41% non era per Renzi? «Quello non era un voto per il governo. Magari lui prenderà il 50% quando si deciderà a sottoporsi al giudizio delle Politiche. Renzi ha avuto un successo, ma il voto popolare non c'è stato». Renzi non avrebbe dovuto prendere il posto di Letta? «È stato un fatto molto negativo per la democrazia. Renzi ha perpetuato l'anomalia che viviamo dal 2011. Berlusconi è stato l'ultimo premier scelto dai cittadini, questo è il punto fondamentale che sfugge a tutti quelli che oggi si riempiono la bocca con la Costituzione». La riforma costituzionale di Renzi non le piace? «Il monocameralismo forse va nella direzione di un sistema più agile e veloce, ma non è la soluzione». Che invece sarebbe? «La vera continuazione dei referendum elettorali del '91 e del '93 è il presidenzialismo». Che giudizio dà dell'Italicum? «Adesso non è più né carne né pesce. Tre dovrebbero essere i punti cardine delle riforme: presidenzialismo, primarie e collegi uninominali. Qui invece ci sono ancora tanti punti oscuri. E uno nerissimo». Ovvero? «La lista bloccata, che era il peggio del Porcellum». Ma se c'è quasi l'accordo sulle preferenze… «Non pigliamoci in giro. Se l'Italicum prevede circa 120 collegi, i partiti piccoli eleggeranno praticamente solo i capilista. Questo meccanismo è una lista bloccata mascherata». Diamo le pagelle ai «padri costituenti» di oggi. Renzi? «La sensibilità del costituzionalista ce l'ha, perché ha capito che non si cambia sistema se non si cambiano le regole. Se però guardiamo ai risultati, io vedo alcuni passi avanti e altri indietro». La Boschi? «La conosco solo in foto e di lei posso dire che è una bella ragazza. Tolto questo, mi pare che in aula si limiti a seguire le direttive del premier. Non credo che lei o gli altri si possano offendere se dico che mai come in questo momento la politica governativa è accentrata sul premier. È così evidente che questo è un governo mono-personale… La Boschi è del tutto marginale, ma questo vale per tutti i ministri». Non ne salva nessuno? «L'unico che riesce a dare un contributo personale è Poletti. Osservo con preoccupazione Padoan: è l'unico che vorrebbe fare cose diverse da Renzi, che infatti lo farà fuori». Verdini? «Tutta questa grande passione per la Costituzione in Verdini non la vedo. Mi pare che a lui stiano veramente a cuore le intese e non i contenuti. Gli preme sul serio costruire il rapporto tra Renzi e Berlusconi». Calderoli? «Dio ci salvi. Calderoli è stato l'autore del Porcellum». Lui ha disconosciuto il «figlio». «Scusi, la firma sotto quella legge è la sua, mica gliel'ha fatta suo cugino. E poi non dimentico la sua maglietta con la vignetta su Maometto, che ci procurò non so quanti guai». Un giudizio sul Berlusconi aspirante padre della Patria. «Lui è il politico che negli ultimi 20 anni ha avuto più potere per realizzare il percorso costituente su cui Renzi oggi sta camminando. E sul piano delle riforme costituzionali non ha fatto assolutamente nulla. Anzi, se Calderoli è il padre del Porcellum, Berlusconi era il capo del governo che ha fatto quella porcata. Ha grandissime responsabilità per aver buttato al vento ben più di un'occasione storica». Il Cavaliere è anche quello che nel '93 le offrì la guida dei moderati. Lei rifiutò. «È una balla, non mi ha mai offerto nulla. Aveva in mente fin dal primo momento di guidare lui stesso il centrodestra. E io lo sconsigliai». Perché, voleva farlo lei? «No, perché prevedevo che sarebbe stata la sua maledizione. Glielo dissi proprio nell'unico colloquio politico serio che facemmo». Cosa gli disse? «“Silvio, non devi entrare in politica, è come se Gianni Agnelli facesse il ministro dell'Industria. In Italia non c'è nessuno più adatto di lui a quel ruolo, ma non un solo italiano sarebbe disposto a credere che Agnelli va a fare il ministro per l'Italia e non per se stesso. Di te diranno la stessa cosa. Ti scoppierà in faccia il conflitto d'interessi, vedrai”. Negli anni si è realizzato tutto quello che avevo profetizzato. Berlusconi l'ha pagata cara. Ma anche l'Italia, perché le sue traversie politico-giudiziarie hanno paralizzato le riforme». Ma dopo 21 anni si aspettava di trovarlo ancora lì? «Nessuno se l'aspettava. Questi 21 anni hanno dimostrato le sue straordinarie capacità politiche, ma anche una concezione proprietaria del partito. Il centrodestra oggi vive una crisi spaventosa e rischia di morire con la scomparsa del suo proprietario». Vede un possibile erede? «No. Per questo chi ha a cuore il futuro del centrodestra deve lavorare seriamente alle primarie». Tra i protagonisti della politica di oggi manca Fini. Lei l'ha conosciuto bene: dove ha sbagliato? «Avrebbe dovuto lanciare la sfida a Berlusconi dieci anni prima e scendere in campo contro di lui, impugnando il presidenzialismo e le altre riforme che Berlusconi aveva già mollato. Glielo proposi anche». Nel '99, quando faceste l'Elefantino. «Sì, gli proposi un'alleanza proprio sui temi costituzionali. Sarebbe stato straordinario se Fini avesse portato avanti la sfida a Berlusconi». Invece l'Elefantino andò malissimo alle elezioni. «Ma la battaglia era appena iniziata. L'errore storico di Fini è stato proprio quello di arrendersi subito e riallinearsi a Berlusconi, condannandosi ad assumere una posizione subordinata. Nessuno ci assicurava la vittoria, sarebbe stata una battaglia durissima, ma andava fatta nell'interesse dell'Italia». A proposito di battaglie perse: negli ultimi 15 anni nessun referendum ha raggiunto il quorum. È uno strumento che ha fatto il suo tempo? «Il referendum è uno strumento importantissimo in molte democrazie, ad esempio quella americana. E ha fatto pezzi importanti della storia italiana. Basti pensare al referendum sul divorzio, quelli sulla legge elettorale…». Che risalgono a decenni fa. «Quello che ammazza il referendum è il quorum al 50%, irraggiungibile con un'affluenza sempre più in calo. È la regola che la classe politica ha voluto mantenere sul referendum, che è sempre stato considerato un disturbo al manovratore». Lei è figlio di un presidente della Repubblica. Che giudizio dà del Capo dello Stato? «Per un certo periodo è stato chiamato a svolgere un ruolo essenziale e dobbiamo ringraziarlo per averlo fatto. Poi la situazione l'ha spinto ad andare ben oltre i limiti che la Costituzione imponeva al suo ruolo. E Napolitano c'è andato, non c'è dubbio alcuno». Che caratteristiche dovrebbe avere il futuro presidente della Repubblica? «Intanto bisognerebbe stabilire la non rieleggibilità. Mio padre la propose con un messaggio alle Camere. Forse, se non si fosse ammalato, sotto la sua spinta ci si sarebbe arrivati». Chi è il suo modello di Capo dello Stato? «Einaudi». E tra i Veltroni, i Prodi e i Casini di oggi, chi è il più adatto per il Colle? «Io sono per la non rieleggibilità. Ma visto che Napolitano è stato rieletto, più ci sta e meglio è». Lei con i referendum elettorali del '91 e del '93 ha aperto le porte alla Seconda Repubblica, senza diventarne un leader. Si aspetta qualcosa dalla Terza? «La fase della politica per me è finita. Le ricordo che ho 75 anni». Un pischello, rispetto a Berlusconi e Napolitano. «Ma io sono sempre stato un sostenitore del ricambio». Non si sente rottamato? «Quando Renzi ha iniziato a parlare di rottamazione ero già fuori dalla politica da un pezzo. Sono uno dei pochissimi ad essersene andato da solo». E se la dovessero richiamare come Cincinnato, per andare al Quirinale? «Per fare che, il custode?». L'inquilino. L'ha già fatto da piccolo. Non le viene mai la nostalgia? «No. Ho un ricordo molto triste del Quirinale». Perché mai? «È un ambiente bellissimo, ma per niente allegro per viverci. È come un grande museo. Mi creda, passare le ore nel corridoio della Gioconda per un ragazzo era agghiacciante». Davvero non vorrebbe tornarci da grande? «Intendiamoci: da cittadino, se potrò fare qualcosa di utile per il Paese, non mi tirerò indietro, nemmeno fra cent'anni. Ma io sono un rompiscatole, un bastian contrario. Figuriamoci se chiamano me… Facciamoci una risata». di Barbara Romano

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