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Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione Camere Penali: "Sentenze difformi, ora Silvio Berlusconi ha più speranze a Strasburgo"

Andrea Tempestini
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Due sentenze, troppe anomalie. Tante da far venire il sospetto che la giustizia quando si tratta di Silvio Berlusconi “tiri” le norme come se fossero un elastico. Il giurista Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione camere penali, ammette che sì, la Cassazione e il medesimo relatore si sono “rimangiati” nel 2014 una loro sentenza di un anno prima. Presidente Migliucci, c'è un magistrato che smentisce se stesso e una Corte che si rimangia una sentenza definitiva. Non è così? «Non c'è dubbio che l'estensore di una sentenza, che poi è il relatore, sia la persona che può dare l'interpretazione autentica della Corte. Nella sentenza del 2014 si rileva che esistono evidenti difformità nella interpretazione e nell'applicazione della legge tra il caso in esame e quello che ha portato alla condanna di Berlusconi». In cosa consiste, a suo avviso, la difformità? «C'è una diversa valutazione su quanto occorre perché si configuri il reato per il quale è stato condannato l'ex premier. Tecnicamente si parla di un reato bifasico. Non basta cioè, come è stato ritenuto, che vi sia un coinvolgimento diretto dell'imputato nella fase propedeutica della commissione del reato fiscale, ma, visto che si tratta di un reato istantaneo, serve che lo si commetta presentando una dichiarazione dei redditi viziata». Semplifichiamo: non è sufficiente che un cittadino scriva bilanci falsi se poi non presenta la dichiarazione dei redditi? «Esattamente. Il reato così come è stato configurato dal legislatore dispone che esiste sì una fase propedeutica alla commissione del reato che si verifica attraverso comportamenti fraudolenti, ma che il reato, nel caso, diventa tale solo al momento della presentazione della dichiarazione». Nel processo a Berlusconi le cose sono andate diversamente. «Lo stesso relatore dell'ultima sentenza, quasi a prendere le distanze dalla precedente, rileva che “non può essere condivisa” la linea tenuta nel caso Agrama (quello in cui era coinvolto l'ex premier ndr.) quando si è “ritenuto sufficiente” per una condanna la fase propedeutica. Per la legge, al contrario, se un cittadino pone in essere comportamenti fraudolenti ma non consegna la dichiarazione, quella è una parte propedeutica non punibile». Berlusconi è stato condannato forzando la legge? «Io posso darle solo un parere tecnico, non entro nel merito. Certamente, però, a pagina 10 come a pagina 14 della sentenza del 2014 il giudice relatore ritiene “non condivisibile” l'interpretazione fatta dalla stessa Corte due anni prima e rileva una difformità dalla giurisprudenza anche delle Sezioni unite. Si tratta oltretutto di una sentenza molto completa e puntualizza che l'unico caso di concorso ammissibile è quello di chi determini o istighi alla presentazione della dichiarazione dei redditi». La Corte ha voluto smentire attraverso un comunicato stampa incongruità tra le due sentenze. «Premesso che è anomalo che un ufficio relazione con i mezzi di informazione debba dare una interpretazione delle sentenze, in realtà non mi pare che si possa condividere il comunicato: è lo stesso relatore della sentenza 2014 ad individuare difformità». Ma è possibile che la stessa norma venga applicata in maniera diversa a seconda di chi sono gli imputati? «Può capitare, evidentemente. Ma sarebbe bene che l'interpretazione delle norme fosse univoca e chiara, secondo un criterio di prevedibilità: il cittadino deve sapere con chiarezza cosa è un reato e cosa no». Berlusconi fa appello alla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Ritiene che alla luce dei nuovi sviluppi la Corte potrebbe dargli ragione? «Non so a cosa abbiano fatto riferimento i suoi legali nell'appello, quindi non posso entrare nel merito. Certamente questa difformità di interpretazione della legge italiana è un argomento che lì può essere fatto valere e potrebbe incidere sull'esito. Al contrario ritengo molto difficile che l'argomento si possa far valere per chiedere una revisione del processo in Italia anche per il principio di invulnerabilità del giudicato penale, che forse meriterebbe qualche riflessione». intervista di Paolo Emilio Russo

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