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Paolo Becchi: "Se Di Maio non vuole fare la fine di Prodi deve aprire a Forza Italia"

Cristina Agostini
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A cosa sia servito questo secondo giro di consultazioni proprio non lo abbiamo capito. Un fallimento totale. Uno spettacolo indecoroso e per certi versi persino patetico, che ha ancora una volta dimostrato come l' unità del Centrodestra sia più apparente che reale, proprio sulla possibile alleanza di governo con il M5S. Eppure la soluzione per formare il nuovo governo sarebbe a portata di mano: una convergenza programmatica e parlamentare tra le forze che hanno vinto le elezioni: il Centrodestra col suo 37% e il M5S col 32%. Ma niente, Di Maio non ci sente. Dice di aver vinto, quando invece è arrivato secondo, e mette il veto ad un partito della coalizione che è arrivata prima. Fatto sta che la situazione si è incancrenita e potrebbe trovare una soluzione (ammesso la si trovi) non prima di maggio. In altre parole quello che già si può dire è che è saltata la finestra di giugno per tornare a votare. Salvini, quale leader del Centrodestra ha ribadito in sostanza quello che già si sapeva, frenato però da Berlusconi. Di Maio, a questo punto, non poteva che irrigidirsi nella sua posizione. Tutti i suoi tentativi per catturare Pd o Lega sono andati a vuoto. Dunque la situazione di stallo continua. Ma conviene riflettere su una cosa: avrebbero Di Maio e Salvini da soli i numeri per ottenere la maggioranza? IL PRECEDENTE PRODI - Di Maio sbaglia a fare i conti. Un governo M5S-Lega avrebbe numeri molto risicati al Senato. I rispettivi gruppi parlamentari contano 109 iscritti tra i 5Stelle e 58 nella Lega, per un totale di 167 senatori. La maggioranza assoluta è 161, quindi appena sei seggi in più rispetto alla soglia di sopravvivenza. Pochino per un governo composto da forze disomogenee (cioè alleatesi post-voto) e che intendono cambiare i Trattati europei, abbassare la pressione fiscale, abrogare il vincolo del pareggio di bilancio e spendere a deficit per fare flat tax e reddito di cittadinanza. Una maggioranza così risicata non potrebbe contare neppure sulla stampella dei senatori a vita, anche perché Monti e Napolitano - di fronte ad un governo gialloverde - metterebbero l' elmetto pronti all' agguato quotidiano. Di Maio, insomma, anche se riuscisse a convincere la Lega a rompere il Centrodestra per allearsi con lui (cosa per noi poco probabile) potrebbe finire impallinato come accadde a Romano Prodi dieci anni fa. Il leader dell' Ulivo aveva a Palazzo Madama 161 seggi, più però il sostegno sicuro di tutti i senatori a vita (per un totale, sulla carta, di 166 voti), eppure finì silurato nonostante la sua fosse una maggioranza uscita dalle urne. Di Maio avrebbe la possibilità di formare un governo sostenuto da una maggioranza politica molto solida e numericamente "bulgara", composta da tutte le forze che hanno vinto le elezioni. Ma continua a porre un veto insuperabile, non rendendosi conto che seguendo la sua proposta i numeri per governare sarebbero risicatissimi. DUE VIE D'USCITA - Il vero problema è che per fare un governo con una sua stabilità non si può che passare da un accordo tra il Centrodestra unito e il M5S. E allora come uscirne? Due ipotesi: il Capo dello Stato dopo aver giocato tutte le carte di cui dispone (nuove consultazioni, mandato esplorativo, preincarico) potrebbe spiazzare tutti e dare l' incarico proprio a Di Maio, a condizione che questi superi ogni tipo di veto su qualsiasi forza politica che siede in Parlamento. Potrà rifiutare Di Maio una simile proposta? Potrà Salvini accettarla? Ovvio che a perderci in questo caso sarebbe Salvini e la coalizione da lui guidata, ma potrebbe ottenere in cambio ministeri importanti come l' economia, gli interni, la sanità, per tutta la coalizione. La seconda ipotesi sarebbe la "staffetta", che potrebbe essere un buon compromesso per Berlusconi e Di Maio ma, nonostante un recente sondaggio abbia dimostrato che un italiano su tre sia d' accordo (e i "leghisti" in maggioranza la vorrebbero), pare che Salvini condivida al riguardo il giudizio negativo espresso da Feltri. di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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