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Alessandra Appiano, quando scriveva: "Nella nostra epoca, la depressione..."

Davide Locano
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«Lo scintillio del mondo dello spettacolo ci fa credere che esista una formula magica in grado di esonerare i suoi rappresentanti migliori dalla malattia e dal dolore, ma purtroppo non è così», scriveva Alessandra Appiano, 59 anni, sulla sua pagina Facebook poco più di due mesi fa, commentando la scomparsa del suo amico Fabrizio Frizzi. Oggi queste parole sembrano riguardarla da vicino, perché nessuno di noi immaginava che dietro il suo luminoso sorriso potesse nascondersi quel malessere che ad un certo punto la scrittrice non è stata più capace di reggere sulle spalle come un giogo e dal quale si è lasciata vincere in una pigra domenica di giugno, quando il mondo rallenta la sua vorticosa corsa verso il niente ed il fracasso sordo delle cose che comprimiamo nell'anima si fa sentire più forte. Proprio lei che riteneva che la sconfitta ed il fallimento fossero «momenti di libertà e anche di gioia», lei che era animata da un ottimismo prepotente, al quale istigava i suoi affezionati lettori. «Quando ci lamentiamo, quando facciamo del catastrofismo, quando immaginiamo un futuro grigio topo, cerchiamo di ridimensionare i problemi con un po' di sana ironia e di vedere l'altra faccia della medaglia», scriveva il 7 marzo scorso. Già, l'ironia, unica arma che spesso abbiamo per proteggere e mascherare la nostra estrema fragilità, per sbrinare il gelo che ci circonda e anche quello che sentiamo dentro, per prenderci gioco di tutto, anche di ciò che ci fa male, proprio perché ci fa male. È vero che spesso sappiamo insegnare meglio ciò che avremmo bisogno di imparare, allora lo ripetiamo quasi per fissarcelo in testa quel concetto lì. Eppure non ci riusciamo. Convinciamo gli altri, il mondo intero, ma non siamo abbastanza persuasivi nei confronti di noi stessi. Leggi anche: "La vita è mia": Alessandra Appiano, quelle sue vecchie parole DOMENICA DI GIUGNO Ed ecco che si può morire, anzi si può rinunciare di vivere, anche quando si è belle e di successo, compiute ed amate, in una maledetta pigra insopportabile domenica di giugno, sospesa tra la primavera ed un'estate che sta per sbocciare e che non sboccerà mai. Ed è veramente assurdo tutto questo: di colei che si è tolta la vita, per un comico e tragico paradosso, resterà indelebile la voglia di esistere. E non basteranno le spiegazioni di dotti medici, di psichiatri, di esperti, la domanda resterà per sempre insoluta: perché? Ovunque ci sia luce c'è anche ombra. Ombra e luce si accompagnano e vivono insieme nell'animo dell'artista che non può fare a meno né dell'una né dell'altra. Ricorrere alla penna o al pennello è l'unico modo possibile per convertire il dolore in gioia. La zona oscura di Appiano era mantenuta segreta, impenetrabile, insospettabile. Alessandra non la mostrava, né la faceva in qualche modo trasparire. Quell'ombra era annullata dalla letizia del suo viso. Si è soliti pensare agli scrittori come a persone che vivono in un altrove immaginario, avulso dalla realtà, in verità, nessuno è in contatto con il reale ed il vero come l'artista. Non credo che ciò che affliggeva l'anima di Alessandra fosse quella bestia che chiamiamo “depressione”, era semmai lucida consapevolezza, quell'elemento dal gusto agro-dolce senza il quale non si potrebbe creare e dare voce al proprio universo interiore e che costituisce altresì un fardello da partorire, da espellere, attraverso l'arte, ossia la creazione. Senza i nostri dolori non saremmo né brillanti, né felici, né vivi. Tuttavia, a volte succede che tanta consapevolezza uccida. A UN PASSO DALLA FELICITÁ Eppure di depressione Appiano aveva parlato di recente. In un post del 22 gennaio scorso, a proposito del libro di Daphne Merkin A un passo dalla felicità, Alessandra commentava: «In un'epoca disinibita per eccellenza, per paradosso la depressione è ancora un tabù, qualcosa di vergognoso da nascondere. In tempi di ansia da prestazione perenne, ammettere di trovare tutto senza senso pare una colpa inammissibile». E non possiamo fare a meno di chiederci se sia questa la sensazione provata dalla scrittrice: vedere all'improvviso tutto svuotato di significato, e l'esistenza una corsa tanto affannosa quanto inutile. Senza riuscire a dirlo, a spiegarlo agli altri, per timore di essere fraintesa, per paura di essere giudicata. Ci si scopre così universalmente ed irrimediabilmente soli. In un'intervista rilasciata nel 2010, Appiano spiegava di essersi trovata ad affrontare un periodo difficile tra i 27 ed 28 anni e di esserne uscita grazie alla scrittura: «Mi sembrava di avere toppato tutto, allora ho iniziato a scrivere, capendo che potevo dire il cavolo che volevo». Ma stavolta l'amato inchiostro non l'ha salvata né l'ha fatto quella “sana frivolezza”, come ella stessa la definiva, che Alessandra si teneva stretta e che caratterizzava il suo essere nonché le sue opere. «Scrivo per sentirmi meno sola. Prima volevo dimostrare agli altri di saper fare qualcosa, ora faccio ciò che mi piace», raccontava di se stessa. E questo amore per la libertà ha raggiunto il suo punto culminante quando Alessandra ha messo di suo pugno la parola fine alla sua storia. Amara libertà. «Vorrei essere sempre così, con gli occhi chiusi e l'espressione dolce come in questa foto, dimentica dello stress e dell'ansia da prestazione, abbandonata a consolanti pensieri», scriveva il 20 dicembre scorso. Parole che oggi fanno venire i brividi. Nonché sorgere la rabbia di non avere capito, di non avere visto, di non avere letto tanta stanchezza. Di essere schiavi della superficialità. di Azzurra Noemi Barbuto

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