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Televisione, per legge film e serie italiane in prima serata

Matteo Legnani
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Per il rampante ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, il decreto su cinema e televisione, approvato dal Consiglio dei ministri, garantirà all' intero settore dell' audiovisivo «equilibrio e trasparenza», valorizzando «la creatività del cinema italiano». Nelle intenzioni dell' esponente dell' esecutivo guidato dal premier, Paolo Gentiloni, può darsi che sia così. Anche perché sarebbe stato lo stesso capo del governo, sempre attento a mantenere in equilibro la bilancia dei rapporti con i mondi che contano, a chiedere all' antagonista di Matteo Renzi nel Pd una limatura del testo. Le emittenti televisive, unite nella protesta come non era mai capitato in passato, hanno sempre sottolineato il fatto che «subiranno» gli effetti del provvedimento varato governo, mutuato dal sistema francese senza un vera interpretazione, visto che il mercato italiano è molto diverso da quello transalpino. Non solo. La scarsa concertazione sul contenuto del provvedimento, tanto che nella fase finale Franceschini ha incontrato solo i favorevoli e non i contrari, è la dimostrazione del fatto che si tratta di una operazione politica più che tecnica. Il risultato, non molto brillante a dire il vero, sarà quello di vedere i palinsesti di Rai, Mediaset, Sky, La7 e di altri canali presenti sia sul digitale che sul satellite, scritti da Palazzo Chigi, confermando la delusione degli editori. Il «decreto Franceschini», contestato dagli editori con ben due lettere puntute inviate a Palazzo Chigi nel giro di poche settimane, prevede che «almeno» il 55% dei film e delle fiction trasmesse dalle tv dovranno essere di produzione europea. Tra queste, almeno la metà per la Rai e almeno un terzo per le altre emittenti, dovranno essere rigorosamente «Made in Italy». Per il cosiddetto prime time (la fascia della prima serata) sono fissate quote minime variabili per produzioni italiane, e vengono stabiliti delle quote minime di investimento da parte delle aziende televisive su lavori italiani. Regole che, una volta a regime, rischiano di mettere seriamente in crisi le emittenti italiane. Non a caso la corte dei conti francese, non molto tempo fa, ha sottolineato la necessità di rivedere la legge transalpina. Aspetto, questo, non secondario dato che Franceschini, ospite di Otto e mezzo, il programma de La7 condotto da Lilly Gruber, ha candidamente ammesso di aver copiato il dispositivo legislativo dai colleghi parigini. Le pressioni degli editori televisivi e le indicazioni arrivate da oltralpe hanno indotto il titolare del Mibact, che con il decreto approvato dal Cdm punta a conquistare le simpatie (ovviamente elettorali) della cosiddetta intellighenzia di sinistra che trova nel «cinema d' autore» la sua sublimazione, a prevedere una moratoria sino al 2018, per consentire ai fornitori di servizi media il progressivo adeguamento alla nuova disciplina. Sarà l' Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni, che il decreto aumenta sensibilmente: fino a un massimo di 5 milioni di euro o il 2% del fatturato. Tanto per avere un' idea se trasmettessero un porno in prima serata la multa sarebbe al massimo di 300mila euro. Ma tant' è, evidentemente il cinema d' autore batte la tutela dei minori. Inoltre, almeno per sterilizzare in partenza la rivolta delle emittenti, l' entrata a regime del decreto è stata spostata al 2020. Le percentuali di investimento nelle opere europee con la previsione di una percentuale minima per quelle italiane, salgono sia per la Rai (dal 15 al 20% dei ricavi complessivi annui, con una rivisitazione della gradualità dell' aumento rispetto all' ultimo bozza circolata) che per le tv private (dal 10 al 15% degli introiti netti annui). Obblighi di programmazione e investimento sono imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione. Peccato che quest' ultimi trasmettano solo film e serie tv, zero intrattenimento. E che programmando qualche filmetto inglese e francese, mettendoci dentro anche una produzione regalata al Belpaese, alla fine se la caveranno, non avendo una vera e propria «prima serata», giusto per dire. Il «decreto Franceschini, passa ora all' esame delle Commissioni competenti di Camera e Senato, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato-Regioni per i pareri. per tornare in Consiglio dei ministri entro l' 11 dicembre, quando scade la delega. A rendere ancor più problematica la «digeribilità» del provvedimento, come hanno ampiamente spiegato i broadcaster nelle loro lettere inviare al ministero, l' anticipazione di quanto previsto nel nuovo testo della direttiva Eu sui «servizi media e audiovisivi». Provvedimento, quello europeo, in via di definizione. Dunque potrebbe anche finire con il confliggere con quello voluto da Franceschini. di Enrico Paoli

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