L'editoriale
di Franco Bechis
Pier Luigi Bersani non ha nulla da dire sugli spioni delle Coop. Non una parola per smentire, non una per spiegare i suoi incontri con gli imprenditori della security incaricati di spiare i dipendenti di Coop Lombardia. Nulla da dire su quanto raccontato da Libero anche sui suoi successivi incontri rivelati da Gianluigi Nuzzi con esponenti di primo piano del mondo della Coop. Eppure una risposta è quanto mai urgente. L'attuale segretario del Pd era o no a conoscenza del sistema illegale di spionaggio dei dipendenti della Coop? Questo è stato o no il contenuto dei colloqui avuti con i due imprenditori che avevano in appalto il sistema di sicurezza dei supermercati? E dopo quei colloqui ce ne sono stati altri sulla stessa materia fra Bersani e i massimi dirigenti della Lega coop? Che cosa ha fatto il futuro segretario del Pd? Ha cercato di verificare con loro i fatti e poi invitato tutti a identificare i responsabili e denunciarli alla magistratura? C'è qualcuno che invece ha pensato fosse meglio lavare i panni sporchi in famiglia, più attento ad evitare uno scandalo che rischiava di diventare politico che ai diritti di quei lavoratori calpestati in modo così clamoroso? Bersani oggi tace e identico silenzio forse imbarazzato sta gelando i suoi. Tutti zitti perfino di fronte alla levata di scudi della Cgil che almeno non ha venduto a superiori ragioni politiche la sua missione principale, quella di difendere i diritti dei lavoratori. Questo silenzio del segretario del Pd è francamente inspiegabile. Perché la vicenda degli spioni Coop in Lombardia non è un piccolo caso di cronaca archiviabile come la polemichetta del politico di turno. Basta leggere nell'edizione di oggi qualche passaggio dei file che contengono, oltre alle immagini rubate, le telefonate intercettate a cassiere, magazzinieri e altri dipendenti dei supermercati. Colloqui evidentemente privati, anche personalissimi come quelli a luci rosse che oggi Libero è in grado di rivelare. Sono contenuti insieme ai file di telefonate dove - come può accadere in privato- si sparla di questo o quel dirigente, si esprimono le proprie idee magari assai diverse da quelle del manager o del datore di lavoro. Abbiamo sentito - giustamente - levarsi cori di indignazione da destra o da sinistra quando esplose il caso dei dossier illegali della security Telecom. Politici, giornalisti, imprenditori, finanzieri spiati illegalmente. Stesso scandalo quando si è trovato quello scalcagnato archivio di Pio Pompa al Sismi, che metteva insieme articoli di giornali, “si dice” su questo o quello riassunti in brogliacci anche mal compilati. Giusto, giustissimo. Ma l'incredibile silenzio che sta accompagnando la rivelazione della struttura di controllo dei dipendenti messa in piedi dalla Coop in Lombardia è inquietante. Primo perché i fatti che Libero sta raccontando e continuerà a rivelare nei prossimi giorni sono ben più gravi proprio perché coinvolgono persone qualunque, peggio ancora, lavoratori dipendenti, che hanno un diritto alla privacy assai superiore a quello di personaggi pubblici. Il silenzio scelto da Bersani come gli scudi assai fragili levati a propria difesa dai vertici della Coop (faranno inchieste, troveranno eventuali responsabilità, accerteranno quel che invece sembra sappiano benissimo), non è la strada migliore per capire cosa è davvero accaduto. Anzi, rischia di trasformarsi in un vicolo cieco in cui silenzi e menzogne finiranno per accatastarsi e aumentare di volume, trasformarsi in fiume di detriti pronto a rovesciarsi su quel rapporto storico e strettissimo fra il mondo delle coop e gli antenati ed eredi della sinistra italiana.