di Maurizio Belpietro
Maria Acqua Simi
Già mi vedo l'appello di Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrabelsky, i tre giuristi di pronto intervento della Repubblica, i quali inciteranno a una rivolta morale contro la denuncia per diffamazione, un atto che mira , . E sono certo che all'appello risponderanno come un sol uomo Dario e Franca Rame, Bernardo Bertolucci e Andrea Camilleri, Maurizio Crozza e Enrico Bertolino, più altre decine o centinaia di intellettuali e comici, pronti a manifestare in piazza del Popolo, a Roma, al grido di . Di sicuro non mancheranno la Federazione nazionale della stampa, la Cgil e i movimenti che sfilarono sabato tre ottobre dello scorso anno, per protestare contro la querela di Berlusconi contro il giornale diretto da Ezio Mauro. L'unico che non potrà esserci sarà invece lui, Antonio Di Pietro. Nonostante al precedente appuntamento si sia battuto come un leone, sfilando indomito tra la folla, il leader dell'Italia dei valori, attualmente impegnato in un difficile congresso e nell'ancor più complessa ricostruzione del suo passato, non ci sarà perché stavolta è lui e non l'odiato Cavaliere a minacciare la libera stampa. Già, come un Berlusconi qualunque, ieri l'ex pm si è fatto scappare una querela in risposta a un articolo del Corriere della Sera che, come aveva fatto precedentemente Libero, riferiva di certi rapporti con un italo americano chiacchierato, che all'onorevole Tonino avrebbe anche consegnato uno strano assegno post datato. Dimentico del diritto di cronaca, delle dieci domande e, soprattutto, di ciò che disse pochi mesi fa, Di Pietro è tornato alle vecchie abitudini, che nel passato lo avevano portato a trascinare decine di giornalisti in tribunale, facendosi liquidare dagli ex colleghi fior di indennizzi per ogni virgola fuori posto. In questo caso a dar fastidio al noto difensore della libera stampa è stato un pezzo in cui si parlava di un suo viaggio negli Stati Uniti a bordo di un jet privato, ma anche la pubblicazione della fotocopia del documento bancario di pagamento. Da una sua dichiarazione s'intuisce che a innervosirlo sono state anche quelle vecchie fotografie che lo ritraggono a fianco di Bruno Contrada, l'agente Sisde condannato per mafia. E pure quelle voci su suoi rapporti con i servizi segreti, italiani e americani. Secondo Tonino nonostante un suo ex collaboratore lo accusi e un libro racconti alcuni episodi oscuri i giornali avrebbero dovuto chiudere gli occhi o voltarsi dall'altra parte. A suo giudizio Libero o il Corriere non avrebbero dovuto permettersi di riportare notizie che egli, a prescindere, definisce infondate. Bel concetto della libertà di stampa quello del leader dell'Italia dei valori. Per lui anche un dubbio o la semplice cronaca di un'accusa che un terzo gli rivolge è lesa maestà. Grazie alla popolarità di cui gode, soprattutto nei tribunali, è convinto che la stampa sia libera solo se attacca Berlusconi ma non lui. Ma visto che è così, già che è a congresso, ne approfitti per cambiare nome al suo partito: lo chiami il Bavaglio dei valori, suona meglio e fa pure rima con Travaglio.