L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Era inevitabile che a forza di prendersi a schiaffi i cofondatori del PdL si facessero male. Ed ecco che, sgambetto dopo sgambetto, rischiano di perdersi il Lazio. Dicono sia colpa dei radicali e forse pure del giudice che non ha chiuso un occhio sul ritardo nella presentazione delle liste. Può essere che invece di offrire una rosa nel pugno i seguaci di Pannella si siano limitati ai pugni e anche che il magistrato fosse un tifoso del Pd sotto mentite spoglie, ciononostante non si può nascondere che il Popolo della Libertà ci ha messo del suo. Così come ce lo sta mettendo in altre Regioni. Risultato: quella che sembrava una marcia trionfale, con relativa conquista di sei o forse più governatori e ribaltamento dei rapporti di forza all'interno della conferenza Stato-Regioni, rischia di essere un corteo funebre. Già il Cavaliere ha messo le mani avanti, dicendo che è importante il numero di votanti mica quello delle amministrazioni conquistate, ma le prospettive non sono tranquillizzanti. A partire dal Lazio, dove probabilmente non sarà vero che questo è un tiro mancino degli ex di Forza Italia i quali non vedono di buon occhio una seguace di Fini al posto di Marrazzo, sta di fatto che nei confronti della Polverini gli azzurri sono sempre stati tiepidi. Sin dall'inizio ne hanno sparlato, poi al momento di darsi da fare per propagandarne l'immagine se ne stanno al mare. Non sappiamo se ciò che è accaduto venerdì sia frutto di calcolo - noi tendiamo a non crederlo - ma di certo è il risultato di uno sfilacciamento e di una disorganizzazione che regnano sovrani. Se nel Lazio si rischia, in Piemonte non si sta meglio. Gli ex di Alleanza nazionale e anche qualche forzista non hanno mandato giù la candidatura di un leghista e, senza arrivare a quanto è successo a Roma, si capisce che qualcosa non va. Non tutti remano nella stessa direzione, ma anzi, sotto sotto, c'è perfino qualcuno a cui non dispiacerebbe poi tanto se Cota fosse sconfitto e vincesse nuovamente la zarina Mercedes Bresso. In Puglia non si spingono a fare il tifo per Vendola, ma dentro il Popolo della Libertà hanno fatto di tutto per ribaltare un pronostico che pareva essere scontato e favorevole al centrodestra. Per vecchie liti e altrettanto vecchie ambizioni, i colonnelli hanno sbarrato la strada ad Adriana Poli Bortone, che certo è una testa calda e forse anche un po' matta, ma forse era l'unica in grado di non far rischiare la sconfitta. Al contrario, per non avere problemi con lei una volta eletta, si è preferito metterne a repentaglio la vittoria. Che dentro la maggioranza di governo qualcosa non funzioni e le diverse anime mal si sopportino si capisce anche dalle dichiarazioni dei giorni scorsi dell'attuale governatore del Veneto, costretto a cedere la poltrona a un leghista. Giancarlo Galan pur salvando Luca Zaia non ha avuto parole tenere sul Carroccio e non solo per un risentimento che cova verso chi gli ha soffiato il posto, ma anche per dar voce a un pezzo di partito che non si sente rappresentato dagli uomini di Bossi. Il problema è che a forza di dispetti e diffidenza, quella che doveva essere una gioiosa macchina da guerra capace di dare al centrodestra la guida della maggioranza delle regioni italiane, rischia di trasformarsi in un macinino da caffé. A cominciare dai capi per scendere ai funzionari e prima che non sia troppo tardi converrà dunque che si diano una regolata e mettano da parte gli sgambetti. Diversamente, visto che continuando così finiranno per rianimare una sinistra moribonda regalandole la guida di molte regioni, permettano a noi di Libero di cambiare il nome del loro partito: da Popolo della Libertà a Polli in Libertà. Per non dire Pirla…