L'editoriale
di Maurizio Belpietro
L'Eco della Procura ieri ha comunicato che Berlusconi è indagato a Trani per una vicenda riguardante la tv di Stato. Perché un magistrato d'una piccola cittadina, incaricato di occuparsi di reati che accadono in Puglia, debba interessarsi dell'emittente pubblica con sede a Roma è uno di quei misteri poco gloriosi i quali dimostrano la generale confusione dei tribunali italiani. Ma lasciando perdere queste quisquilie, andiamo al sodo. Al Cavaliere viene imputato di aver telefonato al direttore del Tg1 e a un membro dell'authority delle comunicazioni, lamentandosi di programmi d'informazione della Rai e minacciando di chiuderli. Volendo dimostrare che il presidente del Consiglio non ama Santoro, Floris e Serena Dandini non c'era bisogno di gettare soldi pubblici registrando ore di conversazioni, bastava rileggersi alcuni titoli di giornale delle passate settimane e degli anni scorsi. Da quando si è buttato in politica il premier ingaggia una battaglia corpo a corpo con quelli che considera degli occupanti della tv di Stato e nel 2001 non esitò ad accusare il conduttore di Annozero e i suoi compagni di uso criminogeno della Rai. La novità di quest'inchiesta non sta dunque nel tentativo di far tacere chi secondo Berlusconi fa campagna per la sinistra con la tv pubblica e nemmeno nelle conversazioni tra il capo del governo, un giornalista e il membro di un'autorità garante. Fingere che nel passato non ci siano state relazioni intense tra Palazzo Chigi, i direttori dei tg e i dirigenti dell'emittente sarebbe ipocrita. Credo che nessun presidente del Consiglio, ma anche ministri e sottopancia, si sia mai fatto scappare l'opportunità di condizionare la Rai. Esistono aneddoti e perfino libri che ricostruiscono l'influenza del potere politico sulla tv e a nessun pretore è mai venuto in mente di avviare un'indagine. La vera novità semmai è che qualsiasi ufficio periferico della giustizia è in grado, se vuole, di ascoltare tutto ciò che dice il capo del governo. Lo avevamo già intuito un paio d'anni fa, quando alcune conversazioni di Berlusconi erano finite in un procedimento della Procura di Napoli e da qui direttamente sul sito dell'Espresso. Oggi però ne abbiamo la conferma, con la pubblicazione delle intercettazioni su il Fatto quotidiano. Il nostro è il presidente più ascoltato al mondo e per fortuna che al cellulare parla solo di donne e di tv: riferisse ciò che dice a Putin o a Obama, rischieremmo di leggere in prima pagina qualche segreto internazionale o il resoconto di un vertice. In nessun Paese normale il capo del governo può essere registrato a sua insaputa da un maresciallo su ordine di un sostituto procuratore. E non importa che vi sia una legge la quale obbliga a chiedere l'autorizzazione per usare le conversazioni intercettate di un parlamentare: le norme sono fatte per essere aggirate. Quanto meno se c'è di mezzo Berlusconi. Se invece i registrati sono D'Alema o Bersani no: ai tempi dell'inchiesta Unipol le conversazioni del primo furono insabbiate e dichiarate inutilizzabili, quelle del secondo invece non dovettero neppure essere insabbiate perché non emersero mai dalla sabbia. Le vicende di questi giorni comunque dimostrano una sola cosa, ovvero che l'operazione di accerchiamento del governo è in atto. Rispetto al passato, si è adottata una strategia diversa: non più un solo attacco, ma una miriade di offensive, contro il Cavaliere e pure contro quelli che sono considerati i suoi scudieri. Che si tratti di sottosegretari o di direttori non fa differenza: l'obiettivo rimane quello di abbatterli, con le buone o con le cattive. Non sappiamo come finirà. Berlusconi ha dimostrato di riuscire a rimontare i momenti più difficili e come i gatti ha dato prova di avere sette vite. Ma in questo momento appare più isolato del solito e non vorremmo che le vite cominciassero a scarseggiare.