L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Gianfranco Fini ha detto che questo PdL non gli piace, ma non ha chiarito come dovrebbe essere quello che piace a lui. I suoi intellettuali di riferimento parlano di una nuova destra repubblicana, nazionale, laica, costituzionale, liberale, antifascista, istituzionale e riformista. Parole che, dette così, significano tutto e niente. Che vuol dire destra repubblicana? Che quella attuale, composta dal Popolo della Libertà, è monarchica? Non ci pare. E cosa significa destra costituzionale? Che l'attuale partito di maggioranza non lo è? Anche qui risposta negativa. E liberale e antifascista? Fini vuole sostenere che Berlusconi è illiberale e fascista? Mah… Istituzionale e riformista? E quali sarebbero le riforme? Di tutti gli aggettivi usati in questi giorni in realtà rimane solo laico. E qui si capisce un po' di più, soprattutto tenendo presente le posizioni che il cofondatore ha sviluppato nel corso degli ultimi anni sulla fecondazione artificiale e sul biotestamento, ma anche sulla pillola abortiva. Fini vuole un partito che non sia cattolico e ha spesso sostenuto che le questioni etiche le deve decidere il Parlamento e non la Chiesa. Posizione in sé condivisibile, che però poi deve tener conto degli italiani, i quali sono in maggioranza cattolici e su molti di questi temi la pensano in maniera assai simile a come la pensa il Papa. Anche ammettendo che l'idea del presidente della Camera di fare un partito laico trovi consensi nell'elettorato, viene però da domandarsi se sia tutto qui quello che vuole Fini quando parla di nuova destra. E' questa la proposta politica alternativa a quella di Berlusconi? Con il rispetto che si deve a un'alta carica dello Stato, a noi pare un po' poco. È vero: a rileggere i suoi interventi si trovano anche dichiarazioni a favore delle unioni civili, etero e omosessuali, e per la concessione del diritto voto agli immigrati, oltre a parole dure contro i respingimenti degli stranieri. Ma poi sui grandi temi di politica economica, su importanti questioni come la scuola, la salute e la giustizia, di Fini non c'è traccia. All'ex pupillo di Almirante pare non piaccia la Lega e meno ancora il federalismo, ma non è noto cosa proponga in alternativa a quel che dice Bossi e a quanto rivendicano le Regioni settentrionali. Riguardando in controluce le prese di posizione del presidente della Camera si capisce che vuole andare oltre, tagliando i legami con il passato e con il suo stesso elettorato. Ma non è assolutamente chiaro dove intenda approdare e quale contenuto intenda dare alle parole che quasi ossessivamente i suoi consiglieri ripetono a proposito della destra europea. La sensazione è che Fini abbia l'ambizione di creare uno schieramento nuovo e moderno, ma le sue idee siano a questo proposito un po' confuse e ancora in fase di elaborazione. Il risultato è che l'unica argomentazione politica ad emergere dalla nebbia è quella che riguarda gli equilibri interni al Popolo della Libertà, dei quali il cofondatore lamenta il mancato rispetto. Berlusconi non deciderebbe con lui preventivamente le mosse da concordare e violerebbe la regola che attribuisce agli ex di An il 30 per cento dei posti che toccano alla maggioranza. Non sappiamo a tal proposito chi abbia ragione, se il Cavaliere o il cofondatore, sta di fatto che chi ha l'ambizione di costruire una destra europea fa un po' ridere se poi risolve la propria azione politica nella richiesta di più poltrone. Soprattutto fa pensare il continuo riferimento a un modello di partito che è quello sepolto dal Novecento e del quale una sinistra in crisi non riesce a liberarsi. Un modello dove regnano i comitati centrali e la liturgia degli inconcludenti dibattiti. La formula che si è affermata in Italia e non solo, al contrario, è quella del partito carismatico. Ispirarsi al passato non porta a una destra moderna, ma solo a quella vecchia. Magari imbellettata da un po' di idee laiche o terzomondiste. Ma sempre vecchia.