L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Ieri è caduta la testa di Italo Bocchino, il finiano più esposto nella guerra a Berlusconi. In realtà Italo la testa l'aveva già persa da un pezzo, diciamo all'incirca da un anno, da quando cioè si era fatto prendere dalla smania di correre da solo e di sottrarsi all'influenza di Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Insieme, lui e gli altri due, erano a capo della corrente moderata di An, quella dei berluscones. O meglio: i boss erano Gasparri e La Russa, mentre Bocchino era l'emergente, numero tre quasi per diritto essendo stato il portavoce di Pinuccio Tatarella, padre nobile di An oltre che di Destra protagonista scomparso sotto i ferri nel 1999. Intendiamoci, la carriera di Italo non è una concessione alla memoria, ma un riconoscimento dovuto ad un tipo sveglio, forse troppo, che a 28 anni era già deputato. Un'intelligenza brillante accompagnata da un'altrettanto viva ambizione, che qualche volta però stenta ad essere tenuta a freno. A Fini, probabilmente proprio per questo, il giovane Bocchino non è mai piaciuto. O almeno non gli è mai piaciuto fino a che non è passato con lui, schierandosi al suo fianco nella battaglia anti-Cavaliere. Prima, tale era la considerazione che il capo di An aveva nei confronti del giovane deputato, che nel 2006 provò anche a lasciarlo fuori dal Parlamento. Quando si trattò di fare le liste, Gianfranco si impuntò, mettendolo per ultimo e quindi condannandolo a un'esclusione qualora An non avesse superato la soglia dell'undici per cento. Per il presidente della Camera era un modo per mandare un messaggio anche a Gasparri e La Russa, i quali nel partito erano cresciuti troppo e gli davano un po' fastidio: segare il numero tre era il sistema perfetto per far capire chi comandava in Alleanza nazionale. Nonostante ciò Italo fu eletto, perché alle penultime Politiche le cose per non andarono poi così male come si aspettava il suo leader. Ma Bocchino da quel momento cominciò a pensare che fosse giunto l'ora di cambiare aria e di accasarsi altrove. Fu per questo che si presentò a Fini e si mise al suo servizio, promettendo da berluscones di diventare il pontiere col Cavaliere. E l'idea iniziale era proprio quella di fare da paciere, ma poi le cose devono essergli un po' sfuggite di mano, probabilmente, come dicevo, per ambizione. Così il giovane vicecapogruppo si è ritrovato in prima fila nella battaglia, trasformato, lui elegante come solo i napoletani sanno essere, in una specie di Masaniello anti-berluscones. La scena che lo ha condannato è stata quella in tv, in cui accusava i compagni di Cl d'essere arraffoni e poltronisti. Gianfranco ha provato a difenderlo, anche perché non sa come sostituirlo, ma ha dovuto lasciare la presa perché i primi a mollarlo erano stati proprio i suoi, i finiani, i quali in odio a Bocchino erano disposti anche a passare dall'altra parte. Ora Italo sfoga la sua rabbia contro il Cavaliere, atteggiandosi a vittima, ma in realtà ce l'ha soprattutto con i suoi. È convinto d'essere stato sacrificato sull'altare della tregua ed in fondo ha ragione. Ma non si deve dare troppa pena, perché appena finirà la pace – e prima o poi finirà - altre teste andranno a far compagnia alla sua.