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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

bonfanti ilaria
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Molti si domandano quali siano le reali intenzioni di Gianfranco Fini e soprattutto fino a dove intenda spingersi nella battaglia quotidiana contro il Cavaliere. Non riescono a comprendere quale sia la sua strategia e cosa voglia ottenere, se un maggior coinvolgimento nelle decisioni del PdL, o posti di maggior responsabilità nel governo per poter avere maggior peso. In realtà la risposta è facile. Il presidente della Camera non vuole nulla né essere consultato dal presidente del Consiglio prima delle grandi decisioni né ministeri chiave per sé o per alcuni dei suoi fedelissimi.  Egli ha un solo obiettivo e si può riassumere in due parole: pensionare Berlusconi.  Ormai l'ex leader di An è preda di una specie di isteria che tende a identificare nel premier la causa di tutti i suoi guai. Anni  di frustrazioni e di grandi ambizioni naufragate nell'urna sono per Fini tutta colpa del Cavaliere, al quale addebita anche la responsabilità di non avergli consentito di avere un prestigio internazionale,  cui tiene sin dai tempi  della precedente legislatura, quando gli capitò di ricoprire l'incarico di ministro degli Esteri. Il presidente della Camera  vuole dunque passare alla storia come colui che ha liquidato Berlusconi e il berlusconismo, ottenendo ciò che alla sinistra non è riuscito di fare in quindici anni e nonostante l'aiuto delle procure. Per questo motivo è da ritenersi impraticabile ogni tentativo di pacificazione fra fondatore e  cofondatore del PdL. Essendo il disarcionamento del Cavaliere il vero obiettivo, non c'è alcuna tregua che possa reggere alla prova dei fatti e la mezza dozzina di armistizi raggiunti negli ultimi mesi e durati al massimo una settimana lo dimostrano. Ad ogni tentativo di ritrovare l'intesa, Montecitorio ha risposto ricominciando le ostilità. Stando così i fatti, le colombe che anche in queste ore sono al lavoro per ricucire i rapporti tra premier e terza carica dello Stato non hanno alcuna possibilità di successo. La pace durerebbe quanto le altre volte, ma per contro inciderebbe ancora un po'  sulla leadership del presidente del Consiglio, il quale dal procrastinarsi della resa dei conti ha tutto da perdere. L'unico infatti a uscire logorato dal tira e molla istituzionale è il Cavaliere. È lui che rischia di pagare il prezzo più alto, mentre Fini guadagna tempo in vista della creazione di un nuovo polo che raggruppi gli scontenti di centrodestra e insieme i delusi della sinistra. Per rendersene conto basta dare un occhio ai sondaggi, i quali pur in presenza di una profonda depressione del Pd (stimato tra il 25 e il 26%), danno il PdL tra il 35 e il 37%, ossia qualche punto in meno rispetto al passato. A beneficiare dello scontro tra il presidente della Camera e il Cavaliere sarebbe la Lega, mentre un eventuale gruppo di Fini raccoglierebbe al massimo il  4 per cento, una quota appena sufficiente per far eleggere qualche onorevole, ma nessun senatore. Per andare oltre, Gianfranco  ha bisogno di riuscire a mettere insieme un polo che raggruppi altri esponenti politici come Casini o Rutelli e, perché no, anche Montezemolo. Il progetto, ovviamente è ardito, ma quella di Fini ormai è una corsa contro il tempo. Sa di avere a disposizione al massimo un anno o poco più, alla fine del quale uno solo  dei contendenti resterà in piedi: o Berlusconi o lui. Il Cavaliere dunque è avvisato e se non vuole dare corda al suo ex alleato, c'è un solo modo: scoprire il suo gioco. A costo di una resa dei conti.

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