L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Qualche giorno fa riferivo di un brutto sogno che aveva turbato i miei sonni. Un incubo in cui Berlusconi veniva costretto a dimettersi, un governo di salute pubblica lo sostituiva predisponendo una legge elettorale che ci riportava indietro di vent'anni e, alla fine, una grande ammucchiata composta da Fini, Casini, Bersani, Di Pietro e Vendola batteva il Cavaliere, chiudendo la sua lunga stagione e facendoci ripiombare nella prima Repubblica. Qualche lettore mi ha accusato di eccesso di pessimismo, quantomeno notturno. Passata meno di una settimana, però, ecco alcune conferme ai miei cattivi pensieri. Non solo si ritorna a parlare di elezioni e di riforma della legge elettorale per consentire ai nani della politica di ricattare i grandi più di quanto già non facciano, ma il leader dell'Italia dei valori apre al presidente della Camera, proponendogli un'accoppiata contro natura con la sinistra. Secondo l'ex pm si tratterebbe di una coalizione della legalità contro il male con la M maiuscola, impersonato, è sott'inteso, da Berlusconi. Ma non è per dire d'aver visto giusto che torno sull'argomento, bensì per rispondere a un paio di lettori, i quali mi chiedono perché oltre a dipingere scenari a tinte fosche non mi dia da fare per dire come se ne possa uscire. Premetto che non sono così presuntuoso da pensare di avere una soluzione in tasca, però, siccome non mi voglio sottrarre alle provocazioni, provo a immaginare cosa si può fare. Se cade Berlusconi, mi chiede Giuseppe Franceschi, può essere Giulio Tremonti a raccogliere il testimone e a rilanciare il centrodestra? Io penso di no e non perché il ministro dell'Economia non sia in grado di rappresentarci all'estero, come maliziosamente insinua il lettore, ma più semplicemente perché ritengo che, per guidare un partito del 40 per cento come il PdL e il governo che ne è espressione, si debba avere un forte consenso popolare, cosa che mi pare difetti attualmente al nostro uomo dei conti. Egli è stimato e temuto, ma non è ancora amato. Forse lo sarà, ma ora è presto per dirlo. Certo, potrebbe divenire un ottimo presidente del Consiglio, ma ha bisogno di una base elettorale e, a breve, l'unico modo per poterne disporre è essere scelto e sostenuto da Silvio Berlusconi che, da quel che mi risulta, almeno in questo momento non ci pensa proprio. Franceschi mi chiede anche di Fini, forse immaginando in un tardivo rinsavimento dell'ex delfino di Almirante. Anche qui, mi spiace deluderlo, non credo ci siamo. Fini ormai non ha nulla che spartire con la destra. La sua è una battaglia di potere, nella quale ha buttato alle ortiche la maggioranza degli ideali che aveva rappresentato nel passato, tranne il giustizialismo con cui sperava di liquidare Dc e Psi, proprio come poi fece il Pci. Difficile dunque che gli riesca un'altra capriola: liquidare prima Silvio e poi ereditarne la leadership è un'operazione impossibile anche per un giocoliere di parole come il presidente della Camera. E poi, diciamoci la verità: meglio così. Fini non è l'uomo adatto per i momenti difficili. È bravo nelle schermaglie politiche, non nella conduzione di un Paese in cui l'economia arranca. Pensate che anni fa, quando gli affidarono la trattativa sul contratto del pubblico impiego, lui mollò tutto, regalando un maxi aumento ai dipendenti dei ministeri senza chiedere nulla in cambio. I segretari di Cgil, Cisl e Uil se la ridono ancora oggi. Dunque, fosse Fini a guidarci, ci manderebbe in malora. E gli altri? Alfano, la Gelmini e così via. Tutti bravi e di futuro successo. Ma ora mi sembra troppo presto per immaginarli alla guida di una riscossa del centrodestra. E allora, mi chiede Marilena Pittalis? Se cade il Cavaliere, a mio parere c'è ancora il Cavaliere. Resta ancora lui il solo che può battere la sinistra e farci uscire dall'attuale situazione. Anzi, io fossi nei suoi panni piloterei la crisi: se non gli riesce di accordarsi con Fini (cosa che io non credo possibile) meglio rompere, mandando il cofondatore a quel paese e facendo un nuovo predellino. So che è rischioso, soprattutto perché non è detto che Napolitano conceda le elezioni, ma qui o la va o la spacca. Chiami a raccolta tutti i suoi e cerchi pure di convincere qualche finiano, anche a prezzo di nominarlo ministro. Del resto, meglio una poltrona in più per salvare il governo, che una per salvare Brancher. Si circondi di gente giovane, capace e determinata e rilanci l'orgoglio del centrodestra. La gente non aspetta altro. Ma il popolo che può fare?, mi domanda sempre Marilena. La risposta è semplice: sostenerlo.