L'EDITORIALE
di Maurizio Belpietro
Nel tentativo di spegnere l'incendio che minaccia di bruciargli la poltrona e anche la carriera politica, domenica Gianfranco Fini ha minimizzato la brutta storia dell'appartamento di Montecarlo dicendo che non riguarda soldi pubblici. Sottointeso: se qualcuno si è messo del denaro in tasca, non si tratta di quattrini dei contribuenti e dunque non c'è furto. Curioso concetto che il fu presidente di Alleanza nazionale dovrebbe provare a spiegare agli ex militanti del Msi, molti dei quali in queste ore stanno scrivendo a Libero per sollecitarne le dimissioni. Provi lui a dire a gente la quale per anni ha creduto in una buonabattaglia che l'appartamento lasciato in eredità da una fedelissima della Fiamma è servito per le vacanze in Costa azzurra di Elisabetto, il fratello della compagna del presidente della Camera, un tipo a cui le cronache attribuiscono la passione per le macchine di lusso come Ferrari e Porsche e la bella vita. Ma a proposito di denaro pubblico. Il fondatore di Futuro e Libertà, quello che anche domenica ha detto di non voler cedere in nome della trasparenza e della legalità, ha nulla da dire riguardo ai contratti che la Rai ha stipulato a suo cognato e a sua suocera, i quali fino al giorno in cui hanno incontrato Gianfranco la tv l'avevano al massimo vista dal tinello di casa? Come abbiamo già raccontato, l'emittente di Stato tra il 2008 e il 2009 ha commissionato una serie di programmi a società riconducibili ai parenti di Fini. La produzione iniziale riguardava quattro puntate di prima serata di uno spettacolo del sabato sera, “Italian Fan Club Music Award”. Curata da Giancarlo Tulliani e slittata a dopo le 23, la prima puntata è stata un flop da meno di 300 mila spettatori e per questo le altre sono state cancellate. Visto lo strabordante successo, la Rai ha affidato alla At Media, società di mamma Tulliani, la produzione di 183 puntate di uno spazio all'interno di “Festa italiana”, condotto da Caterina Balivo: compenso 1,5 milioni di euro. Notare che la società vincitrice del lucroso appalto è stata fondata nel 2009, giusto in tempo per essere miracolata dalla Rai, la quale fino all'anno prima il programma pomeridiano se lo faceva in casa, senza pagare nessuno. Visti i risultati, Viale Mazzini ha pensato bene di comprare qualche film da un'altra società vicina alla Santa famiglia del numero uno di Montecitorio: poca roba, solo mezzo milione di diritti. Niente da fare invece per una miniserie di due puntate dal titolo “Mia madre”: il Consiglio di amministrazione ha bocciato il contratto, ma solo dopo che si erano accesi i riflettori sugli appalti alla Tulliani's family. Chi ha deciso di far lavorare in Rai il fratello e la mamma della compagna di Fini? Chi ha chiesto che si concedesse un minimo garantito a Giancarlo Tulliani e chi ne reclamava, fino all'altro ieri, un altro a una società sospettata di essere vicina al cognatissimo? Queste domande avremmo voluto rivolgerle ai dirigenti della tv di Stato, ma da giorni c'è il fuggi fuggi. Nessuno pare più ricordare chi siano i Tulliani e la maggior parte nega di averli conosciuti o anche solo incontrati per sbaglio. Mauro Mazza, un bravo collega che ha diretto il Tg2 e da un paio d'anni ha traslocato alla direzione di Raiuno, la rete che produce “Festa italiana”, ormai non risponde neanche al telefono. Conoscendo la sua amicizia con Fini, a chi gli chiede notizie dei contratti ai Tulliani augura buon lavoro per poi riattaccare. L'unico che non ha negato di aver ricevuto pressioni per far lavorare la simpatica e ambiziosa famigliola è Guido Paglia, l'ex capo delle relazioni esterne della Rai, fino a un anno fa in procinto di diventare vicedirettore generale. Anche lui amico di Fini, sarebbe stato convocato direttamente dal presidente della Camera nel suo appartamento a Montecitorio. Il suo no alle anomale richieste di far lavorare il cognato sarebbe alla base della sua mancata promozione, la quale sarebbe stata voluta da Fini in persona. Nulla da dire caro presidente a proposito di tutto questo? Ammesso e non concesso che quelli di Montecarlo non siano soldi pubblici, quelli della Rai di chi sono? E le Procure, quei magistrati sempre pronti ad aprire inchieste ad ogni sospiro telefonico di Berlusconi, hanno nulla da eccepire di fronte a una vicenda dei cui protagonisti Libero ha fatto nomi e cognomi, pubblicando perfino la data di ingresso di Guido Paglia a Montecitorio? L'azione penale è obbligatoria solo per alcuni? Oppure c'è il Lodo Fini, una legge non scritta ma perfettamente in vigore che salva gli uni e fa secchi gli altri, a seconda della simpatia politica, come sospettiamo da tempo?