L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Alla fine si è scoperto il vero falsario: il signore che ha fatto carte false per impedire alla verità sulla casa di Montecarlo di venire a galla non va cercato nella redazione di Libero e nemmeno a casa del Cavaliere, ma dalle parti di Montecitorio. Le accuse che con certezza i pretoriani di Gianfranco Fini hanno scagliato contro di noi, sospettandoci d'essere parte di un'operazione per diffondere documenti tarocchi, sono cadute di fronte alle parole del ministro di Saint Lucia, il quale ieri pomeriggio ha confermato alla stampa quanto avevamo pubblicato. La lettera che svela l'identità del proprietario dell'appartamento svenduto da An non è una bufala. Si tratta al contrario di un atto riservato in cui il responsabile della Giustizia informa il presidente del paesino caraibico. Altro che servizi segreti deviati e patacche come hanno ripetuto per un intero giorno i portavoce del presidente della Camera. Nessuna manina ha manipolato il documento, semmai c'è stata un'opera scientifica per distruggerlo o sotterrarlo, così che nessuno potesse ricollegare le società offshore a un parente di Fini e dunque la reale proprietà della casa alla famiglia Tulliani, tanto benvoluta dalla terza carica dello Stato fino al punto di farle ottenere appalti Rai. Certificando d'aver scritto e firmato la lettera, il ministro della Giustizia di Saint Lucia ha impedito un polverone che mirava a coprire ogni cosa. Perché, se come dimostrato la macchina del fango contro gli avversari del Cavaliere non esiste, c'è una macchina della sabbia che lavora alacremente per insabbiare la vicenda. Basta dare un occhio ai giornali più forcaioli d'Italia, i quali nei giorni scorsi sono diventati improvvisamente garantisti pur di smontare le accuse che lambiscono il presidente della Camera. Repubblica, amorevolmente impegnata a proteggere l'ultimo campione dell'antiberlusconismo dai suoi errori, ci ha provato con tutte le forze, affidando la difesa alle sue penne migliori, come Giuseppe D'Avanzo, che invece di andare a caccia di scoop fa lo sminatore degli scoop altrui. Il colpo per il mancato sotterramento della storia dev'essere però stato forte se ha convinto Fini a ritornare di fronte a una telecamera per parlare della casa di Montecarlo. L'inquilino di Montecitorio fino al giorno prima fuggiva solo a sentire evocare il Principato, sottraendosi in fretta alle domande. Certo, anche oggi il presidente della Camera scappa dai quesiti, preferendo parlare a un obiettivo muto che ai giornalisti, dai quali se non sono fidati si tiene alla larga più che dagli appestati. Ma anche senza cronisti fra i piedi, per il cofondatore sarà dura spiegare come e perché l'abitazione sia stata venduta al cognato con uno sconto dell'80 per cento. Proprio questa difficoltà credo indurrà Fini a perseverare nella improbabile tesi del complotto. Pur essendo di tutta evidenza ciò che è accaduto, il presidente della Camera lascerà intendere che se non è falso il documento è falso il ministro, il quale avrebbe mentito allo scopo di diffamarlo. Come quei tizi colti sul fatto con la pistola del delitto tra le mani, la terza carica dello Stato negherà tutto, giurando la propria estraneità ai fatti e professandosi vittima, atteggiamento che in genere gli psichiatri definiscono rimozione del fatto. In questo caso dubito che Fini abbia rimosso ciò che è accaduto. Anzi, dubito fortemente che voglia sentir parlare di rimozione. Al punto in cui è arrivato non gli importa più alcuna aderenza alla realtà. Gli preme solo l'aderenza alla poltrona, alla quale si è tanto affezionato da essere disposto, pur di rimanervi attaccato, a patteggiare non solo con Berlusconi, ma anche col diavolo.