L'Editoriale
di Maurizio Belpietro
La fortuna sarà anche cieca come dicono, ma la giustizia ci vede benissimo, soprattutto quando si tratta di Silvio Berlusconi e dei suoi cari. È bastato che il presidente del Consiglio mostrasse segnali di indebolimento e soprattutto venisse meno la minaccia di elezioni e si rafforzasse quella di un governo tecnico, ed ecco spuntare un nuovo troncone d'indagine contro di lui. Come un'idra, il mostro le cui teste rinascevano se tagliate, il procedimento è germogliato a Roma, gemmato a sua volta da un altro avviato dalla Procura di Milano. Non sappiamo in questi anni quanti processi siano stati aperti a carico del premier, quanti ne siano stati chiusi e quanti risorti. È certo che le incursioni della magistratura nella vita politica del Paese negli ultimi due decenni sono state la regola e hanno condizionato ogni legislatura. Non c'è stata scadenza elettorale che non sia stata accompagnata da un'inchiesta giudiziaria e non c'è stato momento di difficoltà del Cavaliere che non sia stato preceduto o seguito da un provvedimento dei pm. Basti ricordare l'avviso di garanzia recapitato a Napoli dal pool di Mani pulite che segnò la fine del primo governo Berlusconi. Indebolito dalle proteste di piazza per la riforma delle pensioni, osteggiato dai poteri forti e dal Quirinale, azzoppato dalle toghe, fu lasciato solo da Bossi, il quale ritenne che saldare i destini della Lega a quelli ormai segnati del Cav. fosse suicida. Nel 1994 però a dargli la caccia era una sola Procura, ora invece sono molte di più. Da Milano a Roma, da Firenze a Napoli, da Palermo a Bari senza dimenticare di far tappa a Trani, non c'è ufficio giudiziario che non trovi uno spunto per indagare su Berlusconi e sui suoi più stretti collaboratori, cercando ogni pretesto per metterli nel mirino. Quanto può resistere un premier in queste condizioni? Fosse chiunque altro e non l'uomo che si è inventato dal nulla il partito dei moderati e negli ultimi sedici anni ha resistito a ogni assalto, diremmo poco, anzi giorni. Il Cavaliere però questa volta non deve far fronte solo all'attacco dei magistrati, ma deve fronteggiare anche il nemico in casa, ovvero quell'alleato che gli si è rivoltato contro e oggi è in combutta con le toghe. Nonostante le dichiarazioni contrarie, Fini non ha nessuna intenzione di far passare una legge che sottragga il capo del governo all'aggressione giudiziaria. Anzi, come ha rivelato al nostro Franco Bechis una fonte assai vicina al presidente della Camera, è proprio sui pm che la terza carica dello Stato fa affidamento «per liberare l'Italia da un simile personaggio». Privando Silvio dello scudo che lo difende dai processi, l'ex cofondatore spera i pm riescano alla fine nell'intento che perseguono da sedici anni. Il Cavaliere è dunque di fronte alla prova più difficile. Se non riesce a sottrarsi alla tenaglia che lo tiene intrappolato, rischia di finire male. Nel suo interesse, ma soprattutto nel nostro di italiani, non possiamo che invitarlo a reagire e in fretta. Esca da quella specie di torpore di cui è caduto vittima da mesi. Si allei con chi vuole, anche con il diavolo sotto forma di Casini o di chiunque ritenga opportuno, ma ribalti quello che sembra un epilogo già scritto. Da mesi lo scriviamo, ma ora non resta molto tempo.