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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Che l'indagine sulla casa di Montecarlo fosse destinata a chiudersi con l'archiviazione e il proscioglimento di Gianfranco Fini lo avevamo previsto dall'inizio. Non perché dotati di una palla di vetro, ma in quanto l'esperienza ci suggeriva di non aspettare dal giudice alcun contributo atto a chiarire il mistero dell'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte. Infatti, quando c'è di mezzo chi si oppone al Cavaliere, i pm sono inclini a usare la mano leggera e a diventare garantisti come quasi mai capita di vedere. Invece per una volta la giustizia ha deciso di stupirci, emettendo una sentenza di assoluzione del presidente della Camera che di fatto è una condanna e la conferma delle nostre peggiori supposizioni. Ovviamente il capo di Futuro e Libertà e suoi trombettieri canteranno vittoria, sostenendo che il magistrato ha smontato le tesi di chi intravedeva qualcosa di losco nell'affare, ma la realtà è assai diversa. Il gip, pur decidendo di archiviare la denuncia degli ex militanti di An vicini a Francesco Storace, riconosce che l'immobile è stato ceduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato e salva il numero uno di Fli semplicemente perché Alleanza nazionale non è una società, ma un'associazione privata non riconosciuta dal codice. In pratica il magistrato lascia intendere che se si fosse trattato di una persona giuridica il suo verdetto sarebbe stato diverso. Non solo: il giudice pare quasi suggerire una strada alternativa agli ex camerati. Se volete giustizia non dovete appellarvi al tribunale penale ma a quello civile, il quale è competente a determinare il danno patrimoniale conseguente alla vendita di un immobile ad un valore incongruo. Nonostante non commini alcuna pena, la sentenza è dunque una fucilata per il presidente della Camera, perché nella sostanza conferma ciò che ripetiamo dal luglio scorso, ovvero da quando venne a galla la strana faccenda di un'abitazione a due passi dal centro di Monaco ceduta a una misteriosa finanziaria al prezzo di un bilocale alla Magliana. Fini all'epoca aveva sostenuto di non saperne nulla e di aver scoperto all'ultimo che l'inquilino fosse il cognato, negando che il proprietario della casa fosse il giovane Tulliani. Nel dispositivo del giudice si legge che il numero uno di Montecitorio non è stato indotto in errore, bensì vendendo l'immobile donato ad An allo scopo di finanziare «una giusta battaglia» ha attuato una disposizione che era in suo potere. Tradotto dal linguaggio giuridico, par di capire che Gianfranco non è stato raggirato ma era consapevole del valore inferiore rispetto a quello di mercato cui veniva ceduto l'appartamento. Qualcuno forse troverà discutibile l'argomentazione usata dal gip, ricordando che l'articolo 640 del codice penale punisce con una pena da sei mesi a tre anni «chiunque, con artifici o raggiri, inducendo taluno in errore, procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto». Ma non è questo il punto. Anche se assolto, sul capo di Futuro e Libertà sono confermati i peggiori dubbi, rendendolo incompatibile con la carica che ricopre.  Dall'alto del suo scranno Fini non ha titoli per impartire lezioni e se non vuole essere coinvolto in una causa civile, faccia le valigie, rispettando la promessa in diretta tv, quando annunciò agli italiani che si sarebbe dimesso se fosse stato provato che il cognato era il proprietario della casa di Monaco. Ormai è dimostrato che Tulliani è l'acquirente nascosto dietro le misteriose finanziarie. Quanto all'imbroglio sul prezzo c'è la sentenza del gip. A questo punto manca solo la dignità di andarsene.

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