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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

domenico d'alessandro
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Già in passato avevo avuto il dubbio che Pierluigi Battista non leggesse il giornale per cui lavora, visto che ci aveva attaccato per aver dato notizia di un'inchiesta pugliese ignorando che il suo quotidiano aveva fatto altrettanto. Ora però ho la certezza che l'editorialista del Corriere della sera scrive a prescindere, senza tener conto di ciò che appare nelle pagine accanto a quella in cui è pubblicato il suo articolo. Mi spiego. Nei giorni scorsi Libero ha criticato la missione di pace - in realtà di guerra - contro la Libia, non già perché ci premesse la difesa di Gheddafi, il quale per quanto ci riguarda può anche andare all'inferno, piuttosto perché non avevamo intenzione di berci le motivazioni umanitarie alla base della decisione di sparare missili contro Tripoli. Dei libici a Sarkozy e soci importa meno di niente, semmai interessano le forniture militari e il petrolio, che finora erano appannaggio dell'Italia a tutto svantaggio dei cugini transalpini. In più, ci pareva evidente che il conflitto servisse a distrarre gli elettori francesi in un momento in cui la popolarità dell'inquilino dell'Eliseo  risulta al minimo storico. Vincere una guerra, per quanto impari, è una medaglia che ci si può appuntare sul petto, gonfiandosi come un tacchino. Ecco, questo ha scritto Libero, aggiungendo che se davvero vi fossero state ragioni di solidarietà e sostegno agli insorti libici, in nome della democrazia e dell'autodeterminazione dei popoli gli Stati che partecipano alla missione sulla Cirenaica avrebbero dovuto bombardare anche la Cina, l'Iran, il Bahrein e molti altri Paesi dove le manifestazioni vengono represse nel sangue.  Per aver scritto tutto ciò, Battista ha pensato bene di metterci nel mirino,  accusandoci di incoerenza (nel passato sostenemmo l'intervento contro Saddam Hussein, il quale però aveva avuto il tempo di scatenare due guerre e di gasare più di centomila curdi) e dedicando all'argomento addirittura tre articoli. Peccato che le stesse tesi sostenute dal nostro giornale compaiano anche sul Corriere della Sera, quotidiano che però Battista si guarda bene dall'etichettare alla stessa maniera. Sotto il titolo «L'attivismo di Sarko? Così la Francia nasconde la sua politica disastrosa» il giornale di via Solferino intervista l'ex direttore di Le Monde, il quale a proposito dell'intervento in Libia dice le seguenti cose. Primo. «L'idea che si possano difendere popolazioni civili e fare cadere regimi limitandosi ai bombardamenti aerei è falsa». Secondo. Il protagonismo di Sarkozy non è indotto da buonismo, ma «dalla voglia di fare un colpo mediatico occultando i disastrosi risultati di politica interna». Terzo. Pur non credendo alla guerra per il petrolio, Edwy Plenel spiega che avendo intrattenuto rapporti con tutti i dittatori la Francia cerca con la guerra di rifarsi una verginità, allo scopo di salvare il gruppo di potere che la guida. L'ex numero uno dell'importante testata francese, aggiunge poi che mentre Sarkozy sgancia gli ordigni, il suo schieramento al primo turno delle cantonali ha ottenuto il 7,5%. Un risultato disastroso per un partito al governo, come se il Pdl uscisse dalle urne ridotto alle dimensioni dell'Udc di Pier Ferdinando Casini. Ma se qualcuno nutrisse dubbi su ciò che sta succedendo in Francia e sulla natura elettorale della guerra, il Corriere poco più avanti ribadisce:  «Crolla la destra di governo. Eliseo a rischio per Sarkozy». Il consorte di Carla Bruni secondo il corrispondente di  Ferruccio de Bortoli è messo così male da rischiare la poltrona: al suo posto il partito starebbe valutando di candidare l'attuale primo ministro François Fillon. Riassumo. Il presidente francese nel suo Paese gode di pessima fama e alle elezioni potrebbe essere costretto a farsi da parte. Per tirarsi su nei sondaggi ha preso al volo il pretesto degli insorti libici e ha convinto l'Occidente a scatenare una guerra. E da ultimo è falsa l'idea della democrazia esportata solo con i bombardamenti. Insomma, sul Corriere compaiono le stesse tesi anticipate da Libero. Battista dunque parlava senza avere il coraggio di farne il nome anche del suo giornale quando accusava noi e i pochi altri dubbiosi di fronte alla missione «umanitaria» di stare dalla parte del dittatore? Oppure, a forza di fare il cerchiobottista, Battista si è scolato il contenuto della botte e gli effetti della sbornia non gli fanno vedere ciò che ha davanti agli occhi?

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