Norris è il campione che questi tempi si meritano. La figura perfetta di un’epoca che vibra un istante e poi si sbriciola al primo soffio di pressione. Non è un re, non è un bastione, non è un sogno: è il ritratto involontario di un mondo che ha perso fame, coraggio, voglia di mito. Un tempo volevi essere Schumacher, Lauda, Senna. Oggi speri solo di gestire una gomma. Campione, sì. Ma è un titolo che non accende, non scuote, non brucia. È l’incoronazione ideale per anni rassegnati, sciatti, inchiodati all’incertezza. La stessa che ha scandito tutta la stagione di Lando, in un’altalena continua. Che basti un Mondiale così per un titolo la dice lunga.
Eppure ad Abu Dhabi Max fa ciò che gli riesce meglio: domina, firma l’ottava vittoria dell’anno, mette in riga il mondo. E perde comunque un Mondiale pur avendo più vittorie di Norris e Piastri, che si fermano a sette ciascuno. Una sproporzione che fissa la gerarchia reale in automatico. In realtà paga i mesi in cui la RB21 era vibrante come un semolino, il Dietor della Formula 1.
Lando porta a casa i 423 punti della provvidenza: gara ordinata, quasi diligente, solida. McLaren corre solo per lui, sigillandogli la terza piazza e negando a Piastri la possibilità di giocarsi la vittoria anche dopo uno stint da paura.
Il trombato Tsunoda fa il soldatino di Milton Keynes: manda largo Norris, si prende cinque secondi che avrebbero potuto ribaltare il mondo. Ma non succede. I santi, nel weekend, bivaccano. Leclerc splende in mezzo al piombo di Maranello: infastidisce Lando, lo bracca, gli piazza ombre e veleno. Stoico fino al martirio. Hamilton risale dall’abisso fino all’ottavo posto: gesto di dignità postuma in una stagione da triturare nel tritacarte. Mercedes evapora, Ferrari accende un lumino fuori tempo massimo. E nei Costruttori resta lì: quarto posto, come un abbonamento al rimpianto.
Alla fine la verità è una sola: il Mondiale lo vince Norris. Ma lo incarna Verstappen. L’ultimo eroe in un’epoca che gli eroi li ha smarriti per sempre.





