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Lo stipendio di ciascun coniuge? Non entra automaticamente nella comunione dei beni

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Lavoro con l'Avv. Annamaria Bernardini de Pace e mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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Non è così raro che marito e moglie decidano di sposarsi in comunione dei beni. A volte per dar prova all’altro di fiducia incondizionata e di amore, altre volte per mera opportunità. In ogni caso, da quel momento, “quel che è mio è tuo e quel che è tuo è mio”. Questa la regola che guiderà i rapporti economici delle parti, gli acquisti e tutte le spese che la coppia deciderà di affrontare. Sono esclusi dalla comunione solo i beni che erano di proprietà dell’uno e dell’altro già prima del matrimonio, il denaro ricevuto in eredità oppure in donazione e anche quello ottenuto a titolo di risarcimento del danno o per aver venduto un proprio bene. 

Tutto il resto (acquisto di case, opere d’arte, macchine, investimenti, quote societarie), invece, sarà di proprietà di entrambi durante tutta la costanza del matrimonio. Anche se a pagare l’intero è stato solo il marito o solo la moglie. In caso di separazione dei coniugi, poi, tutto il patrimonio che costituisce la comunione dei beni dovrà essere diviso nella misura del 50% ciascuno. Quando marito e moglie si lasciano, infatti, interviene lo scioglimento della comunione e, in quel momento, è necessario verificarne la consistenza per capire quanto spetti all’uno o all’altra.  

Un discorso a parte va fatto per lo stipendio e le entrate da redditi di lavoro. Questo, infatti, entra a far parte della comunione, ma ognuno - in costanza di matrimonio - ha diritto di spendere per se stesso anche tutto quello che ha guadagnato. Anche per spese meramente personali (per esempio per il parrucchiere o l’estetista della moglie, per acquistare la moto che appassiona il marito o per pagare l’abbonamento stagionale dell’uno o dell’altra sulle piste da sci). Tutto quello che residua e che non viene speso, rimarrà parte integrante della comunione e dovrà essere diviso tra le parti nel momento dello scioglimento della comunione stessa (cioè, come detto, qualora i coniugi si separino oppure in caso di morte di uno dei due). 

Questo principio è espresso dalla legge ed è stato più volte rimarcato dalla Corte di Cassazione, anche con una recentissima sentenza (del 12 febbraio 2021). L’argomento, infatti, è stato continuamente oggetto di interpretazione e di discussione tra ex marito e moglie. Ed ecco perché spesso gli avvocati strategicamente (e anche un po’ maliziosamente) consigliano di spendere tutto prima di separarsi. 
Naturalmente non è questo il “consiglio” che la Corte Suprema vuole fornire. Anzi, nel chiarire il principio, i giudici hanno voluto responsabilizzare le parti ricordando che ogni coniuge è sempre tenuto al dovere di contribuire alle spese della famiglia. Proprio come dire agli sposi che, comunque sia, è loro fermo dovere quello di provvedere - prima di tutto - ai costi legati ai bisogni familiari. Solo dopo, marito e moglie possono spendere liberamente per sé quello che hanno guadagnato. Se residua qualche risparmio, poi, verrà eventualmente diviso in sede di separazione.

di Avv. Marzia Coppola
[email protected] 
Studio legale Bernardini de Pace 
 

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