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Biennale di Venezia, gli artisti non possono tacere e mai lo hanno fatto

Nicoletta Orlandi Posti
Nicoletta Orlandi Posti

Nicoletta Orlandi Posti è nata e cresciuta alla Garbatella, popolare quartiere di Roma, ma vive a Milano. Giornalista professionista e storica dell'arte, cura su LiberoTv la rubrica "ART'è". Nel 2011 ha scritto "Il sacco di Roma. Tutta la verità sulla giunta Alemanno" (editori Riuniti); nel 2013 con i tipi dello stesso editore è uscito "Il sangue politico": la prefazione è di Erri De Luca. Il suo romanzo "A come amore", pubblicato a puntate su Facebook, ha dato il via nel 2008 all'era dell'e-feuilleton. A febbraio del 2015 è uscito il suo primo ebook "Expo2051". Nel 2016 Castelvecchi ha pubblicato il suo libro "Le bombe di Roma"; nel 2019 è uscita la seconda edizione. Sta lavorando a un romanzo erotico. Il titolo del blog è un omaggio al saggio del prof Vincenzo Trione.

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C'è bisogno di fare rumore quando tutti fanno orecchie da mercante. E dunque hanno fatto bene le attiviste di Women Life Freedom (Donne vita libertà) ad accendere nuovamente la luce sui diritti umani negati da parte di Stati che esporranno la loro arte di propaganda durante la Biennale di Venezia che aprirà i battenti il 21 aprile prossimo. L'Iran in primis. La petizione firmata da migliaia di artiste e artisti di ogni nazionalità, religione e credo politico, è stato un segnale forte alla comunità internazionale per denunciare ancora una volta i crimini di cui si è macchiata Teheran contro tutti coloro che si ribellano al regime. "Non siate complici" è l'appello diretto al presidente uscente della Biennale, Roberto Cicutto, e al suo successore Pietrangelo Buttafuoco che si insedierà a giorni. 

Nel testo si ricorda che dal 16 settembre 2022, giorno dell’omicidio di Masha Amini, "è in atto una feroce repressione che per silenziare ogni forma di dissenso colpisce artisti, donne, giovani, studenti, giornalisti e lavoratori. Stupri, torture, accecamenti e altri omicidi, a centinaia". Poi il quesito: "Perché una importante istituzione come la Biennale si presta a legittimare la delegazione di un regime dittatoriale teocratico che da 45 anni censura ogni espressione artistica? Così si fa complice di un governo criminale e sanguinario".  Da parte sua la Biennale si è limitata a rispondere citando un dogma dello statuto: “Tutti i Paesi riconosciuti dalla Repubblica Italiana possono in totale autonomia richiedere di partecipare ufficialmente”. Di conseguenza, la Biennale “non può prendere in considerazione alcuna petizione o richiesta di escludere la presenza dell'Iran o di Israele". 

E sì perché anche la partecipazione dello Stato di Israele è stata messa in discussione dopo le migliaia di firme di artisti, curatori, e studenti raccolte da Anga - Art Not Genocide Alliance  contro l’apertura del padiglione del paese in guerra in Cisgiordania.  La richiesta degli artisti è nata dopo la reazione israeliana, ai fatti del 7 ottobre, che ha provocato un vero e proprio massacro del popolo palestinese: "Qualsiasi rappresentazione ufficiale di Israele sulla scena culturale internazionale è una legittimazione delle sue politiche genocide a Gaza", si legge nell'appello affinché "non ci sia un padiglione del genocidio alla Biennale di Venezia" dove viene specificato che "la Biennale sta promuovendo uno Stato di apartheid genocida".

Alla Biennale che se ne è lavata pilatescamente le mani, le attiviste di Women Life Freedom hanno ricordato che la Biennale aveva già deciso, nella scorsa edizione, per la chiusura del Padiglione della Russia da poco impegnata nella guerra di occupazione in Ucraina. Con una nota del 2 marzo 2022 la Biennale rifiutava infatti ufficialmente "ogni forma di collaborazione con chi ha attuato o sostiene un atto di aggressione di inaudita gravità, e non accetterà pertanto la presenza alle proprie manifestazioni di delegazioni ufficiali, istituzioni e personalità a qualunque titolo legate al governo russo". 

 

Women Life freedom ha anche riportato alla mente di tanti smemorati che per quasi trent’anni, dal 1968 al 1993, il Sudafrica venne escluso dalla Biennale di Venezia per motivi umanitari (apartheid). E non è nuova neanche la scelta da parte della Biennale di prendere una posizione e ospitare artisti dissidenti negli eventi collaterali, come già accaduto con l’artista cinese Ai Weiwei durante l’edizione 55 o con Tania Bruguera nel 2009, "entrambi artisti dissidenti e attivisti che hanno condiviso a lungo la condizione di prigionieri del loro stesso Paese denunciandone gli orrori e le atrocità commesse”. “Il silenzio e la deresponsabilizzazione sono certamente la scelta più comoda ,ma l’arte è sempre rappresentazione del momento presente e della contemporaneità, mai avulsa dal contesto storico e dalle tragedie umanitarie, come hanno ben rappresentato anche i diversi Curatori che hanno animato le ultime Biennali Arte e Architettura. L’arte e gli artisti", concludono le attiviste, "non possono tacere e mai lo hanno fatto nella storia”.

Le proteste sulla partecipazione di Israele e Iran in realtà sarebbero estendibili anche ad altri Stati che espongono alla Biennale di Venezia e che non sono certo campioni di democrazia. Del resto, la cultura è un campo di gioco del potere. Da sempre: dalla Roma imperiale al Rinascimento e fino a oggi, il prodotto culturale è la messa in mostra della propria potenza, esibita come forma di controllo del territorio sia esso politico, geografico o mediatico. L’arte, in tutte le sue forme, rappresenta uno strumento formidabile per la gestione del potere e per la sua propaganda. Sarà così anche per quello che vedremo a Venezia nei Padiglioni nazionali della 60° edizione della Biennale Internazionale d’Arte e non ci sarà da stupirsi. Val la pena ricorda infatti che i vari curatori e artisti che rappresentano gli Stati alla mostra più importante dell’anno vengono scelti da ciascun governo tramite il ministero della Cultura.
 
È così per il Padiglione Italia dove il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e l’ex sottosegretario delegato per l’arte e per l’architettura contemporanea Vittorio Sgarbi hanno nominato curatore Luca Cerizza, che lavorerà in stretto contatto con il nuovo direttore generale Angelo Piero Cappello, e che ha scelto Massimo Bartolini come artista che animerà gli spazi del Padiglione Italia all’Arsenale. Cerizza e Bartolini avevano partecipato al concorso ed erano entrati nella decina di progetti da sottoporre al giudizio del Ministero della Cultura. Il Collegio Romano, dunque il governo, li ha voluti nonostante Sgarbi abbia bollato il progetto come “difficilmente comprensibile” riservandosi di chiedere spiegazioni a Sangiuliano. “Questo signore che ha vinto sembra che abbia scelto il solo Massimo Bartolini, ma io non voglio credere che la mia Italia sia quella che sceglierà questo curatore e credo che non sia neppure l’Italia di Sangiuliano. La Biennale si svolge ogni due anni e gli italiani sono tanti, sono fotografi, cultori di fumetto, designer e tanto altro…".

Al Padiglione di Israele, invece, verrà messo in mostra il progetto "Motherland". Sul sito della Biennale di Venezia ono indicati solo i nomi dei due commissari, Michael Gov e Arad Tugerman, delle due curatrici, Mira Lapidot e Tamar Margalit, e dell’artista visuale Ruth Patir. Arad Tugerman, contattato dal Corriere della Sera, ha rinviato all’ambasciata di Israele e al suo ufficio culturale che ha comunicato la decisione di non rivelare nulla sui contenuti del padiglione né di rilasciare dichiarazioni. Quanto al Padiglione della Repubblica Islamica dell'Iran parteciperà alla Biennale con il progetto Of One Essence is the Human Race ospitato a Palazzo Malipiero, a cura di Shoaib Hosseini Moghaddam, e rappresentato dagli artisti Fatemeh Ghafourian, Zeinab Ashoori Dahanehsari, M. Saber Sheykh Rezaei, Rasool Rabiei Dehnavi, Hossein Mohseni. Il titolo è tratto da un verso di un componimento del poeta Abu Mohammad Mosleh ebn Abdollāh, noto come Saʿdi, vissuto nel XIII secolo, e rappresenta un inno all’unità del genere umano, indipendentemente dalle barriere sociali e dalle etichette. Un principio universale che però, per il movimento Woman Life Freedom, sarebbe solo di facciata.
Si sentirà molto rumore ad aprile in Laguna, c'è da scommetterci. L’arte e gli artisti non possono tacere e mai lo hanno fatto nella storia.

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