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Regali e soldi agli amici dell'Ilva: giornalisti, aziende e parrocchie

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Reso noto l'elenco di beneficari della generosità di Archinà accusato di fare pressioni sulle istituzioni per favorire in ogni modo l'acciaieria

Nicoletta Orlandi Posti
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  Fare un regalo non è reato, per carità. Ma quando riguarda una cospicua cifra a disposizione di un contestatissimo impianto siderurgico, la cosa "puzza" tanto quanto i veleni emessi da quelle ciminiere dello skyline cittadino.  Il Corriere della Sera ha pubblicato un documento con il lungo elenco dei beneficiari che dimostra di anche quanto estesa fosse la rete di contatti «sociali» dell'Ilva nel territorio: si tratta di giornalisti, università, associazioni, società sportive, aziende, i vigili urbani e pure una parrocchia e l'Unione italiana per il trasporto degli ammalati a Lourdes ai quali sono arrivati soldi, casse di champagne, fiori, pacchi dono. La lista, consegnata agli inquirenti da Francesco Cinieri, dal 1986 responsabile della contabilità dello stabilimento siderurgico, dimostra l'ingente budget a disposizione di Girolamo Archinà, il capo delle relazioni pubbliche dell'azienda accusato di fare pressioni sulle istituzioni per favorire in ogni modo l'acciaieria. Fra i nomi delle società del capitolo "omaggi e regalie" dell'Ilva ce n'è una, fa notare il Corsera: la Semat Spa, che vanta le cifre più alte. Da un minimo di 1.286 euro a un massimo di 64.341. Ovviamente le cifre accanto ai nomi non significano sempre che si sia trattato di una donazione. In alcuni casi, per esempio con la "D'Erchie Srl" (un'azienda che produce olio d'oliva) e la "Longo, un mondo di specialità" (vini e prodotti alimentari) le migliaia di euro accanto al nome indicano le spese sostenute per i pacchi-regalo di fine anno, moltissimi ai giornalisti. La cifra più piccola 72.69 euro, la più alta 8.400. Nell'inchiesta è venuto fuori anche un documento del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri che nell'aprile 2011 accertava le pericolose emissioni dello stabilimento di Taranto. La relazione venne inviata dal maggiore Nicola Candido al ministero dell'Ambiente che invece pochi giorni dopo rilasciò l'Autorizzazione integrata ambientale per il proseguimento dell'attività, ignorando di fatto l'allarme dei carabinieri.  

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