Cerca
Cerca
+

Quando Hitler ringraziava la morsa fiscale"Dopo le stangate, arrivo io"

Nicoletta Orlandi Posti
  • a
  • a
  • a

  di Francesco Borgonovo La prospettiva, in effetti, suscita un po' di irrequietezza. E l'analisi è abbastanza lucida da provocare un brivido. Adolf Hitler in persona che illustra le conseguenze di una politica fiscale sconsiderata e di un governo che pensi di cavarsi fuori dalla crisi a colpi di provvedimenti economici. Segue la previsione: la dittatura fiscale mi favorisce. Auspicio puntualmente realizzato, con i nazionalsocialisti che prendono il potere in Germania.  Fanno impressione le parole che il Führer pronunciò al cronista della Stampa che ebbe occasione di incontrarlo nel febbraio 1932 a casa di Elisabeth  Förster-Nietzsche, sorella del grande filosofo Friedrich e, come noto, strenua sostenitrice del nazismo alla veneranda età di ottant'anni. L'incontro avvenne a Weimar, luogo che più simbolico non si potrebbe, visto che l'omonima Repubblica che resse le sorti teutoniche fino alla vittoria hitleriana è passata alla storia per le disastrose condizioni economiche. I tedeschi vivevano in un Paese allo sfascio, che univa - amplificandole - le difficoltà che oggi affrontano alcuni Stati europei. Pressione fiscale soffocante, inflazione alle stelle, disoccupazione a livelli record, debito estero elevatissimo, scontri di piazza tra forze radicali... Il tutto da inserire nel tetro quadro della crisi mondiale scatenatasi nel 1929. Vi ricorda qualcosa? E qui si innesta l'analisi del capo del nazionalsocialismo. Egli si presenta, munito di un mazzo di fiori e in compagnia di alcuni amici, nel salotto della sorella di Nietzsche. Il giornalista italiano ne è affascinato: «È di media statura e gli si danno quarant'anni all'incirca», scrive nell'articolo intitolato «Conversazione con Adolfo Hitler» e uscito il 6 febbraio del '32. «Porta i baffi all'inglese, capelli abbondanti, con la fila: a sinistra, gli cadono un po' sulla fronte. Movenze pacate; gli occhi rivelano serenità interiore, sicurezza». Si discute di musica, di arte, di letteratura. Poi si passa alla politica. Hitler esprime alcune valutazioni sull'animo tedesco. Giudica la democrazia «un articolo di importazione» (ovviamente non manca di farne notare le origini ebraiche). Quindi spiega: «Il tedesco non è democratico per istinto: egli unisce con il senso della disciplina o conserva nell'animo per tutta la vita, la volontà, il desiderio di ubbidire e di rispettare l'ordine». Ce n'è di che alimentatare pregiudizi antigermanici per secoli.  Ma più interessanti sono le dichiarazioni successive. Elisabeth Nietzsche è ormai stanca, il giornalista e Adolf si trasferiscono nell'albergo di quest'ultimo. Dove ascoltiamo una serie di idee che ci giungono abbastanza famigliari. Hitler dice di non credere nella «Paneuropa». E si scaglia contro il governo in carica. Leggiamo la cronaca: «Hitler (...) vede la massa dei settanta milioni di tedeschi costretta in una situazione che alla lunga esige sfogo, dice essere i gravami fiscali arrivati in Germania a tal punto da togliere a chi ne abbia, per caso, possibilità, la voglia di guadagnare di più». Insomma, la pressione fiscale è insostenibile, tanto che c'è chi preferisce incassare meno onde pagare meno imposte. Il discorso è più che sensato, tanto più che egli ha interesse ad apparire tutto sommato moderato. Il Führer «deplora il disordine che nell'economia mondiale si crea impiantando in tutti i Paesi tutte le industrie - mentre prima i Paesi prosperavano ciascuno sviluppando le sue industrie speciali». Infine, il pezzo forte. Hitler chiarisce in che modo le circostanze lo favoriscono. L'intervistatore gli domanda «se le sue schiere non si ingrossano anche per effetto del disagio economico, che spinga la gente disperata ad invocare una soluzione estrema». La risposta è affermativa: «Quante volte nel mondo si parla di disagio politico, non va dimenticato che esso dipende dalle condizioni economiche».  Insomma, sembra dire, ho buon gioco ad ottenere il favore di una popolazione schiacciata dal Fisco e dalla crisi economica. Ma ad aiutarlo ancora di più sono le risposte che i governanti tedeschi offrono al dissesto. «Non va perso di vista che le cattive condizioni economiche sono un prodotto del malassere politico», dice. E aggiunge: «Anche sei anni fa si ritenne di poter superare la crisi con misure di carattere economico di ordine interno o internazionale, quali i prestiti, la conclusione di accordi commerciali e via di seguito». Adolf promette di risolvere le cose con una «rigenerazione politica». I tedeschi gli credettero, tanto che alle elezioni del luglio 1932 i nazisti ottennero 230 seggi, diventando il partito di maggioranza relativa. Passerà ancora qualche mese prima che trasformino la Germania in un regime totalitario. Ma le condizioni per  il loro avvento le aveva poste il governo precedente, con le tasse soffocanti e le misure inutili contro la crisi. Così prenderò il potere, promette Hitler. Così sarà.  Certo, non siamo nella Repubblica di Weimar, la democrazia in Europa è radicata e difficilmente estirpabile, le tragedie del Novecento ci hanno in gran parte vaccinato. Ma il brivido si sente lo stesso.

Dai blog