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Salvate Nichi Vendola, l'Ilva gli ha inquinato il cervello

Nicoletta Orlandi Posti
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di Francesco Specchia Nichi Vendola, da sempre, in quanto a complessità lessicale, è James Joyce che si è fatto una canna. Vendola, di solito, nel dipanare i pensieri è una straordinaria Supercazzola con scappellamento a sinistra. Figurarsi ora che occorre schierarsi, con la magistratura o con l'Ilva. Scoppia la grana più grossa tra governo, magistratura e industria pesante - rischio chiusura del più grande centro siderurgico della penisola e scontri istituzionali annessi-, roba mai vista dai tempi di Ned Ludd nella rivolta inglese contro i telai? Bene. Il governatore della Puglia si produce nella seguente dichiarazione su Facebook: «Lo sguardo di chi governa deve pesare ciascuno dei beni da tutelare, deve custodire tutte le promesse di futuro, ma soprattutto deve sentire la responsabilità di evitare che vinca il caos, e che l'ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato». L'ardire utopico dei pensieri lunghi di Vendola fa quindi supporre che la canna non basta più: il governatore è probabilmente stato avvolto dagli stessi fumi radioattivi che il gip Todisco vorrebbe sopprimere. Vendola, il prosatore contaminato, è dunque confuso. Più del solito, intendiamo.  Perché se da un lato Nichi ritiene che «l'Ilva rispettava i limiti e si è adeguata alla legge regionale sulla diossina, ma l'Ilva è anche una metropoli che per 60 anni è stata un propagatore di veleni»; dall'altro sostiene che «abbandonare l'acciaio sarebbe una sconfitta, bisogna mettere in equilibrio il lavoro e la salute. Nelle carte dei magistrati c'è il percorso». E uno dice: accidenti, e qual è il percorso? Ovvio: «l'ambientalizzazione della fabbrica che può essere fatta solo a impianti accesi». Ah, ecco: è l'ambientalizzazione. Che uno poi si ridice: e, scusa, che cavolo è l'ambientalizzazione? (termine, se non erro, evocato un tempo soltanto dall'ex ministro Verde Pecoraro Scanio, e ho detto tutto...). E poi, fosse così semplice, perché non s'è “ambientalizzato” prima? Non c'è una risposta precisa, ovvio. Perché, per Nichi, fondamentalmente sì, hanno ragione i giudici che chiedono alla fabbrica di non inquinare e ne prescrivono la chiusura; eppure ha anche ragione l'Ilva che adesso rispetta i limiti, e quindi la fabbrica deve rimanere aperta. Il che, a livello semantico, trattasi d'un grottesco veltroniano. A livello politico, invece, si riduce nella paraculata d'un Presidente di Regione che ricorda gli arabescati equilibrismi dorotei. Di un signore per capirci, conscio che la possibile chiusura dell'Ilva possa devastargli il Pil regionale («se dovesse chiudere ci troveremmo di fronte al più grande cimitero industriale del mondo»); ma, al contempo, consapevole che esistono delle perizie -terribili- ordinate dalla magistratura della quale però egli loda, contestualmente, la capacità di restituire «valore a quel diritto alla vita e alla salute che era stato confinato in uno spazio quasi privato». Sicché per Vendola il doppio binario, i due forni sociali, la mediazione anche quando nulla vi fosse da mediare, si coagulano in una frase epica: «Avere una visione leggendaria e sensazionalistica non aiuta. Non bisogna smarrirsi». Non bisogna. Eppure lo smarrimento e la cupio dissolvi sono le esatte sensazioni che oggi hanno i suoi elettori.   E altre contraddizioni vendoliane sul tema emergono anche sfogliando sfoghi antichi del governatore. Il quale, solo in un'intervista di otto mesi fa, rivendicava pomposamente l'abbassamento di emissioni di diossina e furani nell'aria di Taranto. Non solo. Lo stesso Vendola in un'intervista alla rivista dell'Ilva, Il Ponte, dichiarava: «A breve il cronoprogramma per l'ambientalizzazione completa (ndr: E dagli...) sarà attuato al 100%». A breve. Era il 2010. Da allora la sua decantata «legge sulla diossina», specie in tema di controlli, fa acqua da tutte le parti. Dopo l'ostentazione di un rapporto confidenziale col paròn di Ilva Emilio Riva oggi Nichi omaggia i giudici. Anzi no. A chi gli domanda come andrà a finire, la risposta potrebbe essere un suo classico, «dentro il recinto delle compatibilità date non esiste una risposta strutturale». Appunto.    

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