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Silvia Romano, la legittima difesa dalle anime belle: dall'"armiamoci e partite" all'"amiamoci e pagate"

Andrea Cionci
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Su Silvia Romano è stato già detto quasi tutto, persino che ora stanno tornando i misogini che vogliono “rinchiudere le donne a casa”. 

A parte gli scherzi, questo caso (uno, ormai, dei tanti) solleva una questione generale che fino ad oggi raramente è stata affrontata ripartendo da principi base. 
Negli ultimi 30 – 40 anni abbiamo cominciato a fare sempre più i conti con una “bontà” imposta e con i costi scaricati sulla comunità da quelle che, senza accenti dispregiativi, chiameremo per comodità “anime belle”. Di queste ce ne sono almeno due tipi-base. 

L’”anima bella centrifuga” come la Romano, che è spinta da grande amore verso i non-compatrioti, che pure sarebbero a portata di mano. Invece di occuparsi di poveri, malati, bambini, disabili, anziani  italiani, per i quali c’è ancora molta richiesta, queste persone scelgono di farlo in posti sperduti e pericolosi del pianeta esponendosi a rischi di ogni genere. Va tutto bene. I problemi nascono quando per questi “cittadini del mondo” si crea qualche prevedibile problema come il classico rapimento. In questo caso non è il mondo – di cui loro sarebbero cittadini -  a venire loro incontro, né il paese che li ospita momentaneamente, o la Ong che li coordina, bensì la cara vecchia Patria con i suoi soldi e i suoi Calipari, costretta a pagare i tagliagole. Al momento opportuno fa quindi comodo ritornare a sentirsi cittadini italiani. 
 
Poi ci sono le “anime belle centripete”, quelle che invece, senza scomodarsi in prima persona, vogliono che questo (terzo) mondo e quell’altro si travasino direttamente in Italia anche se i loro concittadini non sono dello stesso avviso. Ovviamente, molto di rado questo secondo tipo di benefattori sconta direttamente le conseguenze del proprio slancio filantropico. E’ un vecchio cliché, ma di solito sono persone benestanti, che vivono in zone sicure e protette. Sarà ancor più banale ricordarlo, ma il Vaticano in questo è un campione: pur essendo uno stato estero, da sette anni ci martella con un ossessivo messaggio di accoglienza di cui sono però gli italiani a dover fare le spese.   Il Capo della Polizia Gabrielli sostiene che statisticamente un delinquente su tre, in Italia, sia straniero. Dato che gli stranieri residenti sono il 12% della popolazione residente, ne segue che uno straniero è potenzialmente 7 volte più pericoloso di un concittadino. Se la matematica non è un’opinione, accoglierli prevede oggettivamente dei rischi per i cittadini e, nel caso, anche stavolta deve essere lo Stato italiano a tirar fuori soldi e Forze dell’ordine. 

Queste due tipologie di anime belle, centrifughe e centripete, hanno quindi una cosa in comune: per i loro afflati umanitari – sui quali non ci permettiamo di esprimere giudizi di merito -  paga sempre Pantalone. Siamo passati dal vecchio “armiamoci e partite”, al nuovo “amiamoci e pagate”. 

A questo punto urge chiarire un concetto alla portata di tutti: per quanto alti siano i propri valori ispiratori, non si può fare la carità con il portafogli degli altri. 

La carità e la generosità sono valori che hanno dignità morale proprio a condizione che derivino spontaneamente dall’animo dei singoli che si assumono ogni onere. Nel momento in cui tali valori vengono imposti obtorto collo producono solo odio e conflitto sociale. 

Come difendersi da questa “carità egoista” che privilegia i meno prossimi a scapito dei più prossimi?

Pretendendo delle garanzie.

Ogni anima bella, centrifuga o centripeta che sia, faccia pure quel che crede provvedendo però prima a garantire la comunità, la Patria, dai possibili effetti negativi dei propri slanci filantropici. Chi compie viaggi in zone ritenute pericolose dal Ministero degli esteri sia tenuto ad avere le spalle ben coperte da un’assicurazione provata o da un’organizzazione seria che possa supportare i costi del riscatto o dell’esfiltrazione (tramite compagnie private di contractors). 

Chi vuole a tutti i costi accogliere dei migranti sul suolo italiano, si faccia carico di un’assicurazione che garantisca la comunità ospitante da eventuali danni arrecati dai nuovi arrivati e dell’onere di mantenere i migranti finché non siano inseriti in un circuito lavorativo legale. 

E tutto prenderà una piega diversa. Forse si riuscirà anche nell’impresa più difficile del mondo: quella di amare per primo chi ci sta vicino. 

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