La Casina del Guardiacaccia? Un tesoro abbandonato da salvare, facciamone un museo
Le guerre le dichiarano i politici, non i militari che poi si trovano a doverle combattere. La pervicace incomprensione di questa ovvietà è probabilmente alla base del degrado culturale e morale in cui versa la memoria eroica della nostra Nazione. Un esempio di tale abbandono (cui solo le Forze Armate odierne e pochi appassionati cercano di porre rimedio) è quello in cui versa la Casina del Guardiacaccia, alla foce del Serchio, nel parco naturale di Migliarino San Rossore (Pisa). La situazione ci è stata segnalata da Giulio Cozzani, ex restauratore di mezzi storici della Oto Melara, attento cultore della memoria bellica italiana.
La casetta faceva parte della tenuta dei duchi Salviati, onorata famiglia che vanta tra i propri antenati il condottiero Giovanni dalle Bande Nere. Nel 1936, il duca Pietro cede in comodato d'uso alla Regia Marina, senza indugi e senza chiedere troppe spiegazioni, il fabbricato. In situ cominciano subito ad arrivare, coperti dal segreto, strani macchinari accompagnati da un gruppo di giovani ufficiali. Tra questi, il capitano del Genio Navale Teseo Tesei, nato all'Isola d'Elba nel 1909, al quale Cristina Di Giorgi ha dedicato di recente la prima monografia completa (Teseo Tesei. All'assalto della gloria. Idrovolante ed.). Insieme ad Elios Toschi, aveva progettato il Siluro a lenta corsa (passato alla storia col nomignolo di "Maiale") consolidando attorno a sé un gruppo di uomini che costituiranno il cuore dei Reparti d'Assalto della Marina militare italiana. Questa era, all'epoca, piuttosto svantaggiata rispetto alla flotta inglese dotata di possenti corazzate. Tesei aveva così ripreso l'idea di Raffaele Rossetti che nella Grande Guerra aveva affondato la corazzata austriaca Viribus Unitis nel porto di Pola a cavallo di un rudimentale siluro, detto "Mignatta", dotato di testa esplosiva amovibile. L'obiettivo è sempre quello: penetrare nei porti del nemico per minare la chiglia delle loro navi senza essere visti. I nuovi siluri vengono però progettati per immergersi come minisottomarini e per essere "cavalcati" da palombari pronti a tutto, dotati di respiratori particolari, dalla ridotta autonomia, che non emettono bolle.
NEL PORTO DI MALTA
A dirlo sembra facile, ma i mezzi sono molto complessi da manovrare, tozzi e riottosi proprio come dei suini. La loro messa a punto si deve svolgere segretamente in una zona come quella della foce del Serchio, frequentata solo da pochi pescatori. La vita nella casina è spartana: gli ufficiali appendono gli abiti a dei chiodi, dato che non vi sono nemmeno gli attaccapanni. Nei pochi momenti di relax giocano a pallavolo in un campetto improvvisato e la sera si riuniscono davanti al grande camino. L'addestramento è massacrante, sia dal punto di vista fisico che tecnico, dati i continui guasti e malfunzionamenti dei mezzi d'assalto. Il capitano medico Bruno Falcomatà, con poco lavoro vista la tempra fisica dei suoi assistiti, comincia a curare i bambini dei dintorni, addirittura a proprie spese. Del gruppo fanno parte Gustavo Stefanini, Gino Birindelli, Salvatore Cuomo, Alberto Branzini e il marchese Luigi Durand de la Penne.
A guidarli è Tesei che è stato così descritto: «Era un essere straordinario, come se ne può incontrare uno ogni cento anni, aveva una forza spirituale enorme, avrebbe potuto emergere in ogni campo, davanti a lui sembravano tutti piccoli, anche gli Ammiragli sembravano dei Caporali». La sua fine lo dimostra: non pago di aver inventato il Siluro a lenta corsa. volle personalmente provarlo, collaudarlo e impiegarlo durante il forzamento del porto inglese di Malta nel luglio del '41. Verificatosi un ritardo nel corso dell'azione, dovuto a imprevisti tecnici, per non compromettere la missione, decise di rinunciare ad allontanarsi dall'arma prima che esplodesse contro l'obiettivo, "spolettando" a zero minuti.
«Occorre che tutto il mondo sappia - scriveva Tesei - che ci sono degli italiani che si recano a Malta nel modo più temerario. Se affonderemo qualche nave o no, poco importa; quel che conta è che si sia capaci di saltare in aria con il nostro apparecchio sotto gli occhi degli inglesi, avremo indicato ai nostri figli e alle future generazioni a prezzo di quali sacrifici si serva il proprio ideale e per quali vie si pervenga al successo». Un successo che fu raggiunto, sublimando il sacrificio di Tesei, da Durand de La Penne e dagli altri incursori che forzarono qualche mese dopo il porto di Alessandria d'Egitto dove, stavolta, compirono sfracelli affondando due corazzate, la Queen Elizabeth, la Valiant, e danneggiando altre due navi. Fino a qualche anno fa, tra i calcinacci della casina, veniva fuori qualche manometro, qualche pezzo di respiratore o di macchinario che avevano impiegato quegli eroi. Poi tutto è finito nell'abbandono. Un vero peccato, dato che il sito si presterebbe a essere adibito a museo, raccogliendo una delle pagine di maggiore ingegno eroismo e amor di Patria della nostra storia.