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Mario Draghi, il lapsus rivelatore: "Un estraneo tra gli italiani", quello che vi era sfuggito nel suo discorso

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Iuri Maria Prado
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La frase era questa: «E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese». Ma Mario Draghi non è riuscito a leggerla bene, e anziché «proprio Paese» gli è sgorgato "vos...": vostro Paese, fermato sulla esse e corretto in corsa con il ripristino dell'originale "proprio". Non era un lapsus: era un conato di verità represso nel ritorno alle cose dicibili. Mario Draghi è percepito come una specie di estraneo, e quell'infortunio denuncia che lui stesso si percepisce in quel modo e infatti sente di rivolgersi a una realtà che dopotutto non è la sua: «Il vostro Paese», dice, sia pure a metà.

Il commissario - Chi pensava che non si sarebbe sporcato le mani, accettando di passare dal nitore freddo degli uffici di Francoforte alla bolgia sudata della politica italiana, vede rispuntare da quel piccolo passaggio accidentato del discorso di Draghi la ragione profonda che faceva dubitare della possibilità di un suo impegno diretto: e cioè che sarebbe venuto ad amministrare il "nostro" Paese, questa cosa che non gli appartiene e a cui lui non appartiene. Il profilo indiscutibilmente commissariale del suo incarico è anche più pronunciato se si considera la significativa spontaneità di quel "vostro", fuoriuscito imprevedibilmente da un'orazione che provava a dissimulare l'eloquio del visiting professor. Non è detto che sia un male, ma questo è: un estraneo tra noi.

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