Cerca
Logo
Cerca
+

Mario Draghi per ora combatte solo l'inglese: perché non è una cosa banale

Renato Farina
  • a
  • a
  • a

Mario Draghi parlò cinquanta minuti al Senato. Era il 17 febbraio scorso. Poi fino a venerdì scorso tacque. Che bisogno aveva di annacquare quello che fu segnalato subito come un capolavoro di sobrietà? I commenti furono infatti encomiastici. Il discorso programmatico più asciutto di sempre. La svolta epocale della politica italiana. E via slinguazzando. Domanda. C'è qualcuno che riesca a ripescare nella memoria non dico una frase, ma un aggettivo, un solo aggettivo tra quelle 5605 parole «storiche»? Salvo non ci sia tra gli eventuali lettori un Pico della Mirandola, scommetterei di no.

Ed ecco il famoso venerdì, quando di colpo Draghi strappa il cellophane dalla propria statua e trasmette un minimo di patria empatia. Accade al centro per la vaccinazione di Fiumicino. Gli passano un foglio, lo legge, con il tono di chi deve badare alla neutralità dei sostantivi come quando alla Banca centrale europea di Francoforte misurava la vibrazione delle parole per non far crollare l'euro. Dice la formuletta magica «smart-working». Non come la pronunciamo noi ignoranti, ma come la direbbero a Oxford: le vocali sono tutte un'altra cosa da come sono scritte, e le consonanti si mangiano tra loro. E il risultato non somiglia neanche un po' a quella che è stata la meravigliosa parola d'ordine per il dolce far niente di tanti statali. Dice anche babysitting, e lì ci arriviamo.

Dopo di che il premier ha un soprassalto e - l'abbiamo ascoltato tutti - si prende un po' in giro cantilendando: «Smartworking, babysitting». E poi se ne esce con un liberatorio non solo per lui, ma per noi tutti: «...chissà perché dobbiamo sempre usare tutte questa parole inglesi». Perché questa frase ci ha colpito e si è imposta? Perché dice la verità. Draghi ha detto come il bambino della favola: il re è nudo. La novità è che il re è lui, e vedremo se sarà coerente con la sua promessa. Se davvero riscriverà leggi e decreti privilegiando Dante e Manzoni, impedendo scorrerie anglosassoni a stracciare il nostro vocabolario. Non è questione di custodire le parole nel dizionario come fosse la teca di un museo. Scrisse Gabriel Garcìa Marquez che il «vocabolario è il cimitero delle parole». Ma siamo perfettamente in grado di riconoscere le parole-trappola, gli adescamenti in inglese per fottere i poveretti che siamo noi, nuova forma di latinorum con cui si cerca di fregare il popolo.

 

 

 

 

E così Draghi ha detto l'unica frase memorabile e penetrata negli animi ben oltre la crème intellettuale. Non è un algoritmo o invocazione ai virologi, ma un sano moto di rivolta, in fondo patriottica. È una buona base morale, non è folklore. Colpisce la mente e la fantasia solo ciò che riguarda la vita quotidiana, inutile progettare corse nella prateria se prima non togli la spina nella zampa di questo leone che talvolta è stato nella storia il nostro popolo.

Per lanciarsi in grandi imprese bisogna prima levare gli inciampi banali del vivere. Pensiamoci. Tutta la prosopopea del potere con i suoi lockdown, Recovery-plan, Next Generation plan Eu (Eu da pronunciare «iù») è stato ed è il modo di vomitarci addosso silicone liquefatto per impedirci di sollevare il piede da terra magari per tirare un calcio, ma anche solo per fare un passo senza palla di piombo al piede. Benedetto allora il rinnegamento dell'inglese come lingua ufficiale della nostra fregatura mattutina. La pandemia attraverso un virus cinese ha rafforzato la dittatura dell'inglese.

Cancellare un po' di inglese, tra l'altro gergale e maccheronico, dunque inutile, ha un senso meta-linguistico, e perciò esistenziale. Cominceremo a uscire dalla tirannide del Corona soltanto ribellandoci alla colonizzazione delle teste che si attua attraverso le parole-trappola di cui è infarcita la comunicazione pubblica. Il Covid ci è arrivato addosso e ci ha soffocato con una gragnuola di parole straniere. Le abbiamo subite quasi fossero l'inevitabile conseguenza di un'epidemia globale. A dire il vero abbiamo sempre avuto il sospetto che fosse un modo per impedirci qualsiasi protesta in italiano o meglio ancora in dialetto. Diciamolo, le uniche parole coraggiose e splendide sono quelle maturate nel posto più tremendo per sofferenza e lutti: Bergamo e le sue valli.

Il motto della rinascita, che a dirlo fa fremere, non è stato il flaccido e porta sfiga «andrà tutto bene», ma - come ha scritto Giulio Dellavite nel suo splendido Ribellarsi (Mondadori) - «In questo epicentro del contagio e vetta della triste piramide delle vittime, qualcosa è stato più invasivo del virus: #molamia, che in dialetto significa "Bergamo non mollare!". Quel mola però non è solo verbo all'imperativo esortativo, ma può essere anche un aggettivo: mia mola, non è molle. Quindi, mai mollare e mai molle».

 

 

 

 

L'inglese è stato il tallone del virus sulla nostra gola infelice. Luigi Di Maio, simbolo vivente della nostra schiavitù, anticipò l'impestamento (lo so che non c'è sul vocabolario ma sempre meglio di lockdown) già il 16 febbraio dell'anno scorso, all'affacciarsi del Covid-19 nelle nostre miserabili esistenze: «Ogni Stato membro sta adottando delle misure rispetto alla vicenda e all'emergenza del coronavairus». V-a-i-r-u-s. Non c'era stata ancora una vittima umana, ma fu chiaro che l'italiano era già stato ucciso. Virus vuol dire veleno, ed è parola latina.

Perché pronunciarlo all'inglese? In un primo momento abbiamo creduto fosse per ragioni di geopolitica: cioè gettare la colpa della pandemia verso gli Usa, eclissandone l'origine cinese, essendo note le simpatie dei grillini per i mandarini. Poi ci siamo resi conto, che più che la malizia poté l'ignoranza. Quando non si sa l'italiano, si indossa la maschera anglosassone. Bisogna dare atto a Beppe Grillo di aver afferrato il concetto. Lo scorso 5 marzo ha proposto nel suo blog una revisione radicale del linguaggio politico, con una paginata dedicata a «Modeste proposte per la comunicazione».

Per un attimo, vista la voga di Webinar e Metoo e Metup in casa grillina, ho temuto l'abrogazione del popolare Vaffa per sostituirlo con l'anglosassone fuck you. Invece no. Trascrivo con ammirazione: «Italiano, non "Inglese": "Patto Verde della Unione Europea" invece di European Green Deal. "Piano di ripresa dell'Unione Europea" invece di Recovery Plan. "Prossima generazione Europa" al posto di Next Generation EU. Mission, election day, navigator, green, green deal, recovery, location, asset, etc.». Modesta proposta a Draghi: licenzi funzionari e burocrati, declassi ministri e sottosegretari che inciampino nell'anglitaliano. Almeno nel centenario di Dante, inferno per chi inquina la lingua in pubblico. Indìca anche la «Giornata nazionale del congiuntivo», ma forse non siamo ancora maturi per questa svolta.

 

 

 

Dai blog