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Afghanistan, il ritiro dei soldati italiani è una conferma. Renato Farina: "Hanno vinto i talebani, ma dovevamo provarci"

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Siamo all'ammainabandiera. Le nostre truppe in missione di "guerra -e -pace" in Afghanistan tornano a casa. Tutti a casa: americani, italiani, inglesi, norvegesi. Ma non è un 8 settembre, non può e non deve essere una resa, anche se l'Occidente ha perso la guerra. Sia chiaro, non l'hanno persa "gli altri", in primis gli Usa di Bush, Obama, Trump e Biden che l'hanno voluta anche per noi, chiamandoci a combatterla, e che ora guida- no la ritirata: è stata anche una nostra sconfitta, ma guai se non fosse stata an- che una questione italiana. Per fortuna siamo a pieno titolo a bordo di questa barca occidentale che fa acqua, ha un sacco di problemi al timone, non sa decidersi sulla rotta, ma accidenti qui si respira più libertà e persino benessere che in qualsiasi altra parte del pianeta. Alpini, bersaglieri, baschi verdi e carabinieri ripiegano il tricolore. A luglio non resterà neppure un soldato, e accanto al sollievo di rivedere i propri cari c'è amarezza: la missione non è stata compiuta. Il segno più evidente è che interpreti e collaboratori locali invocano di essere portati in salvo dal repulisti che vuol dire tortura e morte sicura. Hanno vinto i talebani. Poche chiacchiere, è così.

 

La trattativa condotta in Qatar prima da Trump e portata a compimento pratico da Biden, è stata a tutti gli effetti una capitolazione, mascherata dalla bugia che gli avversari - di cui i secoli attestano l'invincibilità - non sarebbero i diavoli di vent' anni fa, persecutori di donne e di cristiani, quando davano sostegno logistico a Osama Bin Laden e ai suoi macellai. Il bilancio è disastroso. 1 Non è stato messo in sicurezza quello scombinato angolo di mondo. 2- Si è rivelata una pretesa goffa l'imposizione della democrazia che da quelle parti è un concetto alieno. 3- Soprattutto i talebani, divisi in due correnti, i cattivi aderenti ad Al Qaeda, e i cattivissimi passati sotto la bandiera nera del Califfati, riprendono il dominio di Kabul e di Herat imponendo la sharia delle lapidazioni. E da lì ricostituiranno il santuario da cui ripartire alla conquista dell'Orbe. Poveretti che fummo a credere alla facile vittoria dei primi mesi, alle luci di un nuovo mondo, con le ragazze finalmente sorridenti liberate dal burka, e con le labbra che conoscevano il rossetto e i baci in pubblico.

Sorridevamo anche noi all'idea del mullah Omar fuggito in motocicletta con la sua barba e le sue mogli nella caverna. Mi sa che ride lui nella sua tomba. Cinquantaquattro soldati italiani sono caduti laggiù. La domanda rimbomba: morti per niente? Era il caso di mandare quei ragazzi a morire per Kabul? Nessuno qui pretende di avere la risposta giusta come nei quiz. Chi ha parlato- come a me è capitato - con chi ha esposto il suo fianco in quei camminamenti facili agli agguati, ha riportato la certezza che si sentivano addosso un compito: difendere gli inermi dai soprusi, non imponendo i propri modi di vita (in questo diversi dagli americani) ma anche imparandone di nuovi; e nello stesso tempo difendere ottomila chilometri lontano la propria casa e la propria gente. Si può dire patria? Abbiamo perso, ma sarebbe stato peggio se non ci fossimo andati, se avessimo curato solo il nostro orto, aspettando nella nostra povera e illusoria Fortezza Bastiani l'arrivo dei Tartari, augurandoci che provvedessero i soliti americani a sconfiggere l'invasione per il comodo di una serenità a buon mercato. Bush prima e Obama dopo hanno sbagliato strategia. Non c'è dubbio.

 

Il primo, dopo l'11 settembre, ha cercato di annientare nella sua tana il nemico pubblico numero uno, Obama, che aveva in Afghanistan il proprio nido d'aquila. Era una risposta di legittima difesa a chi aveva in canna altri colpi mortiferi. Poi però ha creduto in un teorema scritto sulla carta velina che non ha retto alla prova dei fatti. E cioè che una volta garantite elezioni democratiche, campagna elettorale e gente in coda per votare, la pulsione violenta dell'islamismo sarebbe scemata. Noi italiani, insieme alla Nato, siamo andati lì per accompagnare questo processo e consolidarlo. Aprire le scuole anche per le bambine, tutelare le libertà più semplici di cantare, suonare, fraternizzare con lo straniero, fermare la produzione e il commercio della droga. La sicurezza laggiù come garanzia di non proliferazione di altri 11 Settembre, stavolta magari con San Pietro o il Duomo di Milano come bersaglio. Fallimento militare e culturale. Non sono gli eserciti a poter mutare le civiltà. Obama ha invece promosso le primavere arabe: puntando sulla capacità dei movimenti islamici di affermare i valori di libertà e pace. Fiasco. Trump ha constatato l'insostenibilità di una presenza militare ormai ventennale e destinata a diventare eterna: sangue versato a fondo perduto e costi economici che nemmeno il gigante americano poteva più permettersi. Che lezione trarre? Bravo chi lo sa. Ne azzardo una: non esiste alcuna soluzione finale per eliminare i pericoli, bisogna conviverci, confinare i focolai, impedire che attecchiscano. L'Afghanistan ci insegna il realismo. Torniamo a casa, ripieghiamo le nostre bandiere, ma senza mai abiurare ai valori che ne sono l'essenza .

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