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Generale Figliuolo, alpino testardo. Renato Farina: "Perché lui riesce dove Arcuri ha fallito"

Renato Farina
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Com'è possibile che quest'uomo, il generale degli Alpini, Paolo Francesco Figliuolo, 59 anni, fino a centodieci giorni fa sconosciuto a tutti, anche a Mario Draghi che l'ha scelto, sia diventato il militare più popolare e amato d'Italia dai tempi di Armando Diaz? Noi una risposta a pelle la diamo. Somiglia a quella che danno i suoi soldati. Sotto la divisa è un uomo, ma la sua divisa è perfetta per quest' uo- mo. E pure per l'Italia in quest' epoca sto- rica. Se ci fossero scrittori capaci dei toni epici dei giornalisti di guerre mortali - tipo Vasilij Grossman e Il'ja Eremburg a Stalingrado emergerebbe come l'eroe della semplicità, poche parole trascurabili, molta presenza nella nostra mente, una specie di inviato della Provvidenza. In questi mesi difficili ha incarnato non solo la propensione degli alpini a fare il bene, ma ci è riuscito pure. L'impossibile campagna della vaccinazione in ambienti riottosi, con dubbi su dubbi, scienziati che si sbudellano, gli sta riuscendo, spes contra spem, che tradurremmo così dal latino: nonostante Speranza. Nelle stanze dagli alti soffitti affrescati di Palazzo Chigi e di ambienti consimili, si condivide la percezione popolare, ma si prova a spiegare l'essenza della sua qualità di comandante: la capacità di semplificare le questioni difficili non con le parole ma con l'azione, ordini sul tamburo, pochi comandi secchi. Non un teorico ma un pratico. Un Giovanni delle Bande Nere non un Machiavelli. E Dio sa se non ci fosse bisogno di uno così. C'è una pagina di Leonardo Sciascia che spiega bene la questione: «Nella realtà i generali ci vogliono, anche nelle guerre che sembra facile poter vincere. Generali che abbiano intuito e pratica, perché studio e teoria non bastano: come ci dà esempio Matteo Bandello, quando racconta di una manovra che Machiavelli voleva far fare a una truppa in piazza d'arme; e nacque tale confusione che bisognò Giovanni dalle Bande Nere desse un paio di secchi ordini perché si effettuasse la manovra voluta da Machiavelli e si potesse andare al rancio». 

PER LA PATRIA - L'avventura del generale degli alpini Paolo Francesco Figliuolo nella sua prima campagna d'Italia da comandante supremo ha esattamente questi connotati. Cominciò alla fine del febbraio scorso. Rispose alla chiamata di Mario Draghi con il signorsì tipico dei militari come piace immaginarli a noi del popolo: «Lavorerò per la nostra patria e per i nostri connazionali». Un tocco di retorica, non a petto in fuori, ma già essendo balza to a cavallo. Prima di patria ha detto: lavorerò. In fondo è il primo articolo della Costituzione. La sorte del generale a tre stelle fu segnata a fine febbraio. Mario Draghi voleva sapere e capire tre cose dal Maresciallo in capo dell'esercito contro il Covid: a che punto precisamente fosse la guerra contro il nemico assassino; se fosse condotta con la dovuta cattiveria; se la battaglia delle vaccinazioni stesse piegando la Bestia. Il Commissario straordinario Domenico Ar curi, con la consueta bonomia, e l'aria di chi da solo doveva affrontare il Mostro, dispiegò sul tavolo quello che credeva il suo capolavoro: il piano delle primule, i padiglioni elegantissimi disegnati dall'archistar del grattacielo detto giardino verticale, Stefano Boeri. Stiamo morendo e questo qui propone la Bella Epoque. Osiamo dire interpretando quel che Draghi non disse: cazzarola! Salutò Arcuri e pose una questione urgente al suo staff: ditemi chi in Italia è il migliore nel settore della logistica che lo prendo. La risposta fu unanime: è Figliuolo, ma c'è un problema, è un generale. Meglio, se è una guerra ci vuole uno che se ne intenda. Di teorici bastano e avanzano quelli che ronzano con lelo ro ricette mirabolanti ma non sanno spostare una scrivania da qui a là. Uno che come Napoleone sa che non basta avere in mano il piano perfetto, dove la fanteria attacca sul fianco sinistro e la cavalleria a sorpresa esce dalla boscaglia; ma che sappia spostare i carri, trovare il fieno per i cavalli, muovere l'intendenza. Ecco cosa voleva dire la sua richiesta. 


POCHE STORIE - Cos'è la logistica? Procurare ciò che occorre, a chi occorre, quando occorre. Servono le vaccinazioni? Farle. Materiale, luogo, tempo, modi, risultati da segnare su un foglietto. Tutto lì. Poche storie. Siccome è semplice, in Italia è impossibile. Perché Figliuolo? A proposito di Co vid, senza che nessuno lo abbia mai sentito nominare, era già stato uno dei protagonisti silenziosi di alcune delle battaglie vinte e di quelle dove amaramente avevamo dovuto raccoglierei caduti sul campo sin dal febbraio del 2020. Aveva risolto lui, in quattro e quattr' otto, il complicato trasferimento in Italia dei nostri concittadini imbottigliati a Wuhan portandolo a termine in sicurezza; era riuscito a trasformare l'ospedale militare del Celio in un avamposto scientifico contro il Covid; allestito una ventina di infermerie da campo. Soprattutto, e scusate l'emozione, è stato lui ad aver preso su di sé e sui suoi soldati, amaramente ma con il decoro del lutto e della mestizia dell'onore militare, il trasferimento delle bare da Bergamo ai luoghi deputati alla cremazione. Da quel momento del 1° di marzo ogni sera ha fatto sapere a Draghi e a Speranza i numeri, e dove trovava muri da buttar giù o da aggirare, senza attendersi ordini al riguardo, semmai lo sostituissero. Prima dell'aritmetica dei contagiati, e dei morti, la cifra dei vaccinati. Tra Draghi e Figliuolo l'intesa è stata perciò immediata. La scelta della priorità su a chi toccasse il siero, spettava alla politica, le indicazioni sulle categorie da sottoporre per prime o per seconde all'inoculazione pure, a lui toccava muovere i suoi anfibi nel fango e nella polvere bruciando i veti locali, adoperando uno strumento docile qual è un esercito che ha il morale alto perché il comandante è bravo e lo vedi che sta lì in piedi, non si chiude in ufficio a telefonare a strani mediatori di mascherine scassate, ma sta un giorno a nord, e lo stesso giorno a sud, davanti ai padiglioni, nelle fabbriche trasformate in dispensari pinti e lindi della salute, senza paura di esporsi ai colpi, si arrampica sulle difficoltà com'è buona pratica degli alpini. 


ANCORA IN GUERRA - Insomma a differenza dello stato maggiore del precedente governo, la chiarezza, la ponderatezza, persino il buon umore e il bicchiere di vino accompagnato da un salutare sigaro serale. Con la precisa distinzione degli ambiti tra politica che espone al popolo il disegno e i risultati, e la "logistica", chiamiamola così, che avanza sul terreno. L'esatto opposto dei metodi di Arcuri, che era una sola cosa con Conte e Speranza, in un impasto tragicamente confusionario di politica - scienza - mascherine - primule - soldi buttati dalla finestra, ma poi raccolte da manine abbastanza avide. La guerra non è ancora finita, per carità. Ma salvo colpi di coda della variabile Delta, l'immunità di gregge dovrebbe essere raggiunta a fine settembre, e le dosi di vaccino per raggiungere il risultato ci sono. E c'è chi spiritosamente gli toccherà davvero la storte di Armando Diaz. Definire il predecessore di Figliuolo, il gran commissario Domenico Ar curi come un general Cadorna nella sua Caporetto pare ingeneroso (verso quale dei due non lo diciamo), ma di certo ha raddrizzato le nostre sorti, e bisognerebbe pensare a un titolo per lui del tipo di quello che il Re assegnò all'Armando dopo Vittorio Veneto: Duca della Vittoria. Qualche simpatico burlone ha proposto, e sui social ci sono manipoli di combattenti alla tastiera che si stanno spendendo allo scopo, di fare di Figliuolo il sindaco di Roma. Ma per Roma non ci vuole un generale, servirebbe Nerone.

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