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Afghanistan, nessuna illusione: con il "Diavolo" talebano bisognerà trattare

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E ora non resta che trattare con i talebani. Da posizioni di debolezza, ovviamente, e di questo occorre ringraziare Joe Biden. Come ha fatto il Washington Post, quotidiano vicino ai democratici, smontando la tesi, così cara a sinistra, secondo cui il presidente avrebbe seguito la strada tracciata dal suo predecessore: «Trump aveva promesso un ritiro in base alle condizioni sul campo. Biden ha rifiutato esplicitamente un ritiro basato sulle condizioni, dichiarando "non possiamo continuare a estendere o espandere la nostra presenza militare in Afghanistan, sperando di creare le condizioni ideali per il ritiro". Annunciando che ce ne saremmo andati comunque, qualunque cosa avessero fatto i talebani, Biden ha dato loro il via libera per l'offensiva omicida che stiamo vedendo».

I PRECEDENTI - È questo il vero disastro che negli Stati Uniti e nelle cancellerie europee viene imputato a Biden: non il ritiro delle truppe, ma la incapacità di usarlo come leva per ottenere contropartite utili alla popolazione afghana, agli Stati Uniti e ai loro alleati. La migliore carta in mano all'alleanza regalata ai talebani. Ciò nonostante, trattare è doveroso. Senza andare troppo lontano, chiedere ai leader di Israele, che col diavolo hanno sottoscritto una lunga serie di accordi, dai quali poi sono addirittura nate alleanze locali "di fatto". Nel 1979 ci fu l'intesa con l'Egitto: il Paese che nel conflitto del 1948, nella guerra dei sei giorni del 1967 e in quella dello Yom Kippur, nel 1973, assieme agli alleati aveva aggredito Israele per farlo sparire dalle cartine geografiche. Nel 1994 fu il turno della Giordania, dei giorni nostri sono gli accordi di Abramo con Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Gli stessi Paesi europei, Italia inclusa, hanno aperto le porte al colonnello Muammar Gheddafi. Uno che aveva iniziato la propria carriera da "statista" cacciando gli italiani dalla Libia e la proseguì finanziando i terroristi irlandesi dell'Ira e quelli palestinesi di Settembre Nero, organizzando attentati in proprio e lanciando un missile contro Lampedusa. Il che, in seguito, non gli impedì di essere un fattore di stabilizzazione in Nord Africa, e si è visto cosa è successo dopo la sua morte. Uno dei più illustri predecessori di Biden, Ronald Reagan, non si fece scrupoli a trattare con il capo dell'«impero del male», Mikhail Gorbaciov, incassando un'intesa storica sugli armamenti. La conferma che in politica estera essere idealisti non serve, anzi può rivelarsi letale. È sul terreno del realismo, a un passo dal confine col cinismo, che spesso si raggiungono gli accordi migliori. L'Occidente ha in mano ancora qualcosa che serve ai talebani: il potere di concedere la legittimazione internazionale. I nuovi padroni di Kabul ne hanno bisogno perché sanno che dalle loro parti, presto, accadrà di tutto. I pashtun talebani, che appartengono all'etnia dominante, si sono sempre scannati con i tagiki e gli hazara, pure loro numerosi. I capi tribù afghani si combattono da secoli e sono all'opera nuovi leader militari come il figlio del capo anti-talebano Massoud e quello del mullah Omar, intenzionati a seguire le orme dei padri. I presupposti per una nuova guerra civile, insomma, ci sono tutti.

COSA POSSIAMO OTTENERE - I talebani, per avere ciò che chiedono, sono disposti a trattare, come hanno fatto negli ultimi anni a Doha, con gli americani. Ai governi europei e a quello degli Stati Uniti serve stabilità nell'area perché al di là del confine afghano c'è il Pakistan, potenza nucleare. E serve che non arrivino immagini e testimonianze di donne lapidate e di stragi di civili, che fanno perdere consensi a chi ha deciso di ritirare le truppe. Mantenimento di uno standard minimo di diritti individuali e nulla che possa turbare gli equilibri nella regione, dunque. Due cose che i talebani accettano di garantire, o almeno così hanno detto, motivo per cui l'Isis li ha definiti «agenti degli americani». È poco, ma è da qui che il realismo impone di ripartire, se non altro per mancanza di alternative.

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