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Mario Draghi scontenta i leader. Pietro Senaldi: il centrodestra pronto a far saltare il patto

 Pietro Senaldi, L'aria che tira

Pietro Senaldi
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La tanto invocata discesa in campo di Draghi non è stata ben accolta dai partiti, che pure per settimane gli hanno chiesto di chiarire le sue intenzioni sulla presidenza della Repubblica. Ora che il premier ha svelato il suo segreto di Pulcinella, ovverosia che per quanto Super, Mario è un uomo normale e quindi ha ambizioni quirinalizie, sono già scattati i riposizionamenti. La partita a scacchi è entrata nel vivo e la mossa tocca al centrodestra, che ha il solo vero competitor in lizza, Silvio Berlusconi. Non a caso infatti la prima reazione al discorso del banchiere-presidente è stata di Salvini, che ha avocato a sé la pratica sul fronte Lega.

«Preoccupano i cambiamenti» ha fatto sapere il Carroccio, dopo che Matteo qualche giorno fa, con un perentorio «Io sto qui e lui va?» aveva chiarito che non rimarrebbe a portare la croce del governo con il Pd se Draghi traslocasse sul Colle più alto. Subito hanno fatto eco Forza Italia, M5S e Pd, sostenendo che al governo «serve continuità». Questo significa che la rassicurazione che Draghi ha voluto dare ai partiti che non si andrà a votare in caso di una sua promozione al Quirinale - «il governo andrà avanti indipendentemente da me» - ha sortito un effetto molto diverso da quello che il premier si aspettava. La politica l'ha interpretata più o meno così: come, non solo vuoi farti eleggere, ma incassato il premio ambiresti pure continuare a menare il torrone dicendoci cosa dovremmo fare? In particolare, non ha gradito il centrodestra, e non solo per la candidatura di Berlusconi ancora sul piatto. Se infatti l'altolà dei democratici al premier è più di circostanza che altro, perché Letta ha capito, e soprattutto è riuscito a far comprendere ai soloni piddini, che a questo giro Draghi è il meglio che può incassare la sinistra, se non vuol correre il rischio di ritrovarsi Silvio al Colle, il muro alzato da Lega, azzurri e FdI all'ex governatore è reale; tutto sta a vedere quanto alto.

 

 

SILVIO CONTRARIATO
Il più contrariato è naturalmente Berlusconi, che a caldo ha espresso ufficialmente il veto alla candidatura di Super Mario. Silvio si sente a una quindicina di voti dalla meta, quando alla quarta votazione il quorum necessario per essere eletti si abbasserà a quota 505. L'uomo ha ben capito che Draghi ha rotto gli indugi per fermare la sua corsa prima che prendesse troppa velocità. Per questo è deciso a non mollare, almeno adesso. È uomo delle istituzioni e patriota vero, ma ha anche la leggerezza e la forza di chi è all'ultimo giro di carte. Potrebbe ritirarsi solo se capisse di non farcela o che, rimanendo in campo, sfascerebbe il Paese. A quel punto, probabilmente si intesterebbe lui Draghi, ma al momento il tema non è d'attualità. Nel vertice romano di oggi con il centrodestra a Villa Grande, Silvio chiederà ai suoi alleati di impegnarsi ancora di più nel sostenere la sua candidatura. Se qualcuno si sfilasse, sarebbe a rischio la tenuta del centrodestra.

LA LINEA DI MATTEO
Certo il Cavaliere non dovrà insistere più di tanto con Salvini, che al momento ritiene svantaggioso per la Lega uno spostamento del premier al Quirinale. Se accadesse, Matteo potrebbe giusto digerire un governo di grande coalizione ma con un politico, c'è chi dice Giorgetti, al timone. Tuttavia è un'ipotesi poco realistica e la Lega si troverebbe di fronte a una doppia opzione, comunque perdente. Continuare a sostenere un tecnico, meno autorevole di Draghi, e decisamente più spostato a sinistra, in quanto proveniente dal milieu istituzionale, oppure vanificare un anno di lavoro per rifarsi l'immagine e darsi un profilo governativo uscendo dalla maggioranza. In ogni caso, il partito sentirebbe di non riuscire a rappresentare gli interessi dei propri elettori. «Solo Mario può tenere insieme questa alleanza» ha sibilato Salvini a fine giornata, per chi non l'avesse ancora capito.

 

 

GIORGIA ACCUSA
Anche la Meloni, che fino a ieri nel centrodestra era quella più favorevole a Draghi al Colle, e il suo feeling più volte esibito con Letta ne era la voluta prova manifesta, non ha preso bene il discorso del governatore. Nella sua nota, FdI ha accusato il premier di aver passato oltre due ore a elogiarsi senza ammettere nessun errore; ma quel che non è andato giù a Giorgia è la garanzia che l'ex governatore ha dato ai grilliniche non si andrebbe a votare. Siamo alla vigilia di un mese che sarà incandescente. Le contraeree hanno sparato e continueranno a farlo fino al discorso di fine anno di Mattarella, che sarà il prossimo spartiacque. Il no a Draghi è forte e compatto ma nessuno è pronto a scommettere che sia irrevocabile, anche se potrebbe diventarlo. Dal canto suo il premier ha l'arma del ritiro dalle scene come grande minaccia. I mercati reagirebbero male e il centrodestra si troverebbe con il cerino in mano e la solita accusa di essere inadatto al governo e malvisto all'estero. Sarebbe tragico, ma per convincere il centrodestra al momento ci vuole qualcosa di più. Il laticlavio a vita per Silvio? L'impegno a incaricare Salvini o Meloni premier in caso di vittoria elettorale? Sarà il tormentone politico del prossimo mese.

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