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Ucraina, quanta ipocrisia tra i compagni pacifisti: da Ho Chi Minh al rogo delle bandiere israeliane

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Ma i pacifisti e quelli della Repubblica fondata sulla Resistenza, sono gli stessi? Siamo ormai a quatto o cinque generazioni educate alla retorica della lotta partigiana contro il male nazifascista, e non mi pare che quell'apostolato prevedesse il ripudio delle armi che ora costituisce il verbo esclusivo del pacifismo secondo il modello italiano. 

 

Le implorazioni pacifiste risuonano nelle redazioni Bella Ciao che però non scacciano l'invasor, e sulla parete del salotto progressista associato nella lotta arcobaleno c'è la foto di Salvador Allende che imbraccia il mitra: ma dovevano essere, i partigiani e il resistente cileno, compagni purtroppo ineducati al radicalismo pacifista odierno. La realtà è che una buona quota di questo pacifismo viene dritto dritto da una piazza milanese con cinque cadaveri appesi, dritto dritto dai gloriosi cortei "Viva Ho Chi Minh!", dritto dritto dai festosi roghi delle bandiere statunitensi e israeliane. 

 

Tutta roba che ciascuno può giudicare bene o male, ma che compila un curriculum abbastanza incompatibile con i vagheggiamenti di ecumenismo pacioso che certuni (anzi molti) oppongono ora "a tutte le guerre". È pagata a buon prezzo, la pace dei pacifisti. È pagata con la guerra sulle pelle degli altri. E chi vi resiste non ha diritto alla Costituzione più bella del mondo radicata nella resistenza, perché quella è buona a dar cattedre e stipendi democratici qui, lungo il comodo settantennio di pace. 

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