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Carlo Calenda, se le sue ricette per la libertà si scontrano con i suoi limiti

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Corrado Ocone
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Maneggiare con cura. Questo verrebbe da consigliare a Carlo Calenda, che pur ammette nelle prime pagine del suo libro La libertà che non libera. Riscoprire il valore del limite, che esce per La Nave di Teseo giovedì prossimo (pagg 186, 18 euro) di non essere né un filosofo né uno storico. Il concetto di Libertà è infatti tanto affascinante quanto, come sanno appunto i filosofi, sfuggente. Certamente il titolo del volume è promettente perché, legando l'idea della libertà a quella del limite, fa sì che Calenda si metta nelle condizioni propizie per criticare le degenerazioni della cultura progressista. Con le quali, bisogna ammettere, non è tenero, ma che vorrebbe combattere senza abbandonarne il recinto. Il che dà alle sue pagine un alone di ambiguità, che non convince e forse non è nemmeno politicamente conveniente. È come se le due parti in cui il libro è diviso, quella descrittiva e l'altra prescrittiva, fossero separate da uno iato: si individuano acutamente i problemi, ma poi se ne accettano le soluzioni comuni solo che lo si fa con "più moderazione".

 

 

Può il limite essere inteso solo come misura, "giusto mezzo"? Il dubbio che forse sia opportuno rovesciare il tavolo, cioè leggere il tutto con altre categorie, non sembra cogliere l'autore. Negli ultimi decenni, egli scrive, la cultura dominante ha convertito ogni desiderio in diritto ed ha così aperto la strada a quella «tirannia delle minoranze» che i classici del liberalismo non avevano previsto. Essi, a partire da Tocqueville e Mill, avevano paventato solo il «dispotismo della maggioranza». E avevano giustamente affermato che il liberalismo nasce a tutela dell'opinione di ognuno e dei pochi indipendentemente dal giudizio dei più. Solo che le "minoranze", diventate intolleranti, si sono proposte di fare reset di tutto il mondo che abbiamo ricevuto, vedendo nella storia non un deposito di esperienze ma un inutile ingombro per il nostro desiderare senza fine: la solitudine e il narcisismo sono il risultato di questo "sradicamento".

ANTI STALLO
Calenda non si accontenta però di ragionare sul nostro tempo «senza limite»: vuole trovare "ricette" per far uscire l'Italia dallo stallo o dal declino in cui si è cacciata, per porre mano alla "ricostruzione" (come si intitola la seconda parte). E qui le acque si confondono alquanto. Perché il limite, lungi dall'essere qualcosa di interno alla libertà, diventa per l'autore qualcosa da imporre dall'esterno alla libertà per temperarla o costringerla. Che è lo stesso movimento che compie il "politicamente corretto". Certo, la "superiorità morale" di chi detta le regole al mondo non ha in Calenda quasi nulla dell'arroganza ideologica che è propria della sinistra trinariciuta. Ed anzi egli cerca sempre soluzioni moderate ai problemi, per esempio a quelli che nascono da un'adesione acritica alla teoria del gender, per cui, solo per fare un esempio, dice sì all'adozione dei figli da parte dei gay ma no alla maternità surrogata. Che è un po' l'atteggiamento di quel tizio che ammetteva che la sua donna era incinta, ma «solo un po'». Oppure, dopo aver constatato che gli adolescenti si instupidiscono coi social, il nostro apprezza la decisione cinese di limitarli drasticamente pur se, dice, andrebbero seguite altre e più "liberal-democratiche" vie.

 

 

GLI ESPERTI
In genere, ben vengano le possibilità che la tecnica digitale ci mette a disposizione, ma senza arrivare a un controllo totale. In verità, quella che aleggia in queste pagine è la sindrome epistocratica: tutto il potere agli intelligenti, e agli esperti, che ne sanno di più e devono guidare il popolo incolto e volgare per mano. I "maestri" devono insegnare le virtù giuste, in modo che l'individuo post-moderno non si rinchiuda in se stesso, ma riscopra il piacere della partecipazione politica e della vita attiva sacrificandosi per il "bene publico". Vasto programma! I riferimenti di Calenda sono la Roma repubblicana, coi suoi cittadini virtuosi e tutti dediti alla Patria (un concetto che vuole strappare alla Destra), e, in tempi recenti, il Partito d'Azione. Come dire: moderati sì, ma con rigore e intransigenza. Bisogna essere repubblicani e liberalsocialisti, in barba ad ogni monito crociano sugli "ircocervi". Il fatto è che la storia, che Calenda dice di rispettare, ci insegna che le vie che segue non sempre sono lineari. Col moralismo in politica non si va lontano. Al massimo si svolge il ruolo che Togliatti definiva degli "utili idioti". Ieri a supporto dei comunisti, oggi del Pd col suo "campo largo".

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