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Pietro Senaldi, via libera al suicidio assistito? “Quanto costa morire”, il conto dello Stato

Pietro Senaldi
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Viva l'Italia, l'Italia metà giardino e metà galera, cantava Francesco De Gregori quasi cinquant'anni fa. Oggi i giardini sono coperti dalla fioritura di inadeguati scalda sedie che politica e istituzioni hanno prodotto e non riescono neppure a diventare un campo santo; in compenso la galera si vede benissimo. Ha la faccia dei sei sventurati innocenti finiti in cella la cui sorte racconta alle pagine 2 e 3 la nostra Claudia Osmetti, e quella di Mario, da dodici anni inchiodato al letto e che dopo um faticoso percorso burocratico ha ottenuto il diritto di essere assistito a suicidarsi. A patto che paghi 5.000 euro, si intende, perché lo Stato non vuole avere nessuna responsabilità, neppure economica, sulla sua sorte, anche se mantenerlo invita, magari per decenni, gli costerebbe molto di più. Le storie dei sei sono allucinanti. Impiegati accusati di rapina e ai quali la Corte dei Conte chiede ancora 500mila euro di risarcimento malgrado l'assoluzione, incensurati finiti al 41 bis con Brusca, presunti assassini che non hanno torto un capello a nessuno ma si sono fatti 5.000 giorni di carcere.

 

 

PRESUNTA CIVILTÀ
Mario invece ha avuto un incidente stradale e la sua aggiunta di pena è dover pagare la macchina che lo ucciderà. In questo tragicomico Paese, lo Stato ti sovvenziona l'installazione delle tette se sei nato con il pisello ma ti senti donna, ma ti presenta un conto salato se te ne vuoi andare in punta di piedi dopo che la vita ti ha tradito e martoriato per anni. La cosa raggelante è che i responsabili di queste situazioni sostengono che questo sia civiltà, anzi progresso sociale.

 

 

TUTTI ALLE URNE
C'è un filo che lega le vicende dei sei carcerati e la fine di Mario: è quello dell'ingiustizia. Delle istituzioni e di chi amministra il diritto, tanto nei piccoli tribunali quanto alla Corte Costituzionale. Dopodomani gli italiani sono chiamati a votare i referendum sulla giustizia. La magistratura spera che la consultazione non raggiunga il quorum sufficiente alla sua validità e così, guarda caso, la Consulta li ha svuotati dei quesiti che avevano la maggiore potenzialità di richiamare gli elettori alle urne, quello sulla responsabilità delle toghe per i propri errori e quello a favore dell'eutanasia. Sono i quesiti che avrebbero potuto rendere giustizia a Mario e ai galeotti innocenti. Ecco perché andare a votare domenica è un grido di libertà al quale non possiamo rinunciare: per difendere quelle che ci restano, e che di questo passo non saranno poi molte, e neppure troppo sicure.

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