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Vittorio Feltri, altroché Beppe Grillo: "Perché il vero comico è Conte"

 Vittorio Feltri

Vittorio Feltri
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Ci serviva proprio un partito fondato da un comico per rendere la politica ancora di più quello che in Italia irrimediabilmente è, ossia una buffonata, un gigantesco circo dove si avvicendano contorsionisti ed equilibristi. Il Movimento Cinque Stelle senza dubbio è reo di copiose scelte errate e autolesioniste, ma la più deleteria è stata quella di tirare fuori dal cilindro questo professorino sconosciuto, il foggiano Giuseppe Conte, il quale, allorché fece capolino sulla scena, sembrava in effetti essere un placido coniglio, finendo poi per rivelarsi un astuto volpone. Conte è riuscito, per di più rapidamente, nella titanica impresa di condurre un partito che nel 2018 aveva ottenuto ben 11 milioni di preferenze al cimitero politico. Un morto che però non si rassegna a morire e che, fiero di un risultato ormai vetusto e del tutto ribaltato, pretende di dirigere i giochi, mentre l'avvocatino del popolo aspira, non avendo digerito mai l'essere stato deposto, ad un ruolo di primo piano, ottenendolo nella unica maniera possibile, ovvero rompendo le scatole.

Quando fu premier, di Conte ogni dì leggevamo sui giornali quanto fosse amato dagli italiani, i quali tuttavia non lo sopportano. I media hanno questo vizio di esaltare il politico di turno, trasformando di volta in volta persino un imbecille in un eroe. Probabilmente gli abitanti della penisola hanno l'orticaria alla vista di Conte perché non hanno dimenticato l'incubo delle conferenze serali, le lunghe soste davanti al piccolo schermo in attesa che apparisse il primo ministro, illustrissimo sconosciuto, seguito dal suo segugio prediletto, cioè l'ex concorrente del Grande Fratello Rocco Casalino. Ci eravamo illusi di esserci liberati del duo, invece no. Dopo l'ultima tristissima conferenza sul banchetto in piazza, il legale del popolo con operazioni tribolate è stato messo a capo del M5s affinché gli desse una sorta di colpo di grazia. Qui fuggono non solamente gli elettori ma anche gli eletti. Giuseppe ha questa malsana tendenza a prendere tutto sul personale. Ora ce l'ha con Mario Draghi, il suo successore, lo stesso Draghi che ha accusato di averne chiesto a Beppe Grillo l'allontanamento. Se fosse vero, quello dell'ex presidente della Bce suona, a distanza di pochi giorni, più come il saggio consiglio di un amico piuttosto che come un ordine. Parliamoci chiaro: a Conte dà fastidio il fatto di non essere più lui al vertice dell'esecutivo.

 

 

Sentirsi scalzato, stretto all'angolo, sostituito, fregato da Matteo Renzi, per lui è stato ed è insopportabile, troppo umiliante per il suo ego smisurato.
Quindi, l'ex presidente del Consiglio, due volte premier nel giro di due anni, pur essendo stato da sempre estraneo alla cosa pubblica, cosa diavolo ha pensato di compiere per tornare in auge e fare sentire il suo inconsistente peso specifico? Ovvio, ha aperto la strada ad una bella crisi di governo in piena estate e in piena crisi generale, lui, sì, proprio lui che aveva tacciato il leader della Lega Matteo Salvini, allora ministro dell'Interno nell'esecutivo gialloverde, di «irresponsabilità politica e istituzionale», di «opportunismo», per avere strappato con i cinquestelle determinando il crollo del Conte I in un momento critico per il Paese.

Oggi l'Italia è messa peggio, molto peggio, alle prese con emergenze di ogni genere, e Conte trova forse responsabile fare i capricci proprio ora aggiungendoci pure una crisi di governo, un'altra. Il giorno prima che l'idillio con il leghista terminasse Giuseppe si definiva orgogliosamente, nientepopodimeno che presso le Nazioni Unite, in mondo visione, "sovranista" e "populista". Eppure il dì seguente aveva rigettato sia il sovranismo che il populismo come fossero schifezze al fine di abbracciare il Pd. Fu così che il Movimento di Casaleggio e Grillo mostrò la sua vera indole da meretrice, ovvero si rivelò disponibile e pronto ad accoppiarsi con chiunque previo compenso personale. E si sa che in politica il compenso è pagato in poltrone, poltrone che prosperarono e crebbero di numero nel governo giallorosso, che inventò le task-force di sedicenti esperti dediti alla produzione di pareri rigorosamente discordanti nonché di documenti alcuni dei quali secretati.

 

 

Bella cosa la democrazia di Conte. Ci sarebbe da ridere. Del resto, la genesi del fenomeno grillino prometteva bene. Ci aveva garantito che, terminata la parentesi politica, il professorino sarebbe tornato a fare il professorino, o l'avvocatino, in quanto egli un lavoro ce lo aveva, mica come i professionisti mestieranti della cosa pubblica. «Sti cazzi», esclamerebbero a Roma, ma anche ad Oxford. $ rimasto inchiodato lì. La mia amica Giorgia Meloni osserverebbe efficacemente che Peppe è imbullonato alla politica. Sbullonarlo è arduo, però egli stesso, che sta avviando il Movimento alla estinzione, ci riesce alla grande. Insomma, Conte ci ha fatto la crisi per vendicarsi nei confronti di Draghi che ne desiderava la sparizione in quanto Giuseppi è piacevole come un gatto attaccato strenuamente ai coglioni. Tuttavia, Giuseppe ci dice candidamente che non si aspettava mica che le cose avrebbero poi preso questo corso e questa piega qui, cioè che il premier si sarebbe dimesso. A questa dichiarazione Gigi Di Maio se la ride e puntualizza: «Si vede che Conte non conosce la grammatica politica». E lo afferma un individuo che non mastica nemmeno le basi elementari della grammatica italiana. Siamo messi proprio bene.

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