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Civitanova Marche, l'ossessione dei giornali progressisti: per loro siamo tutti razzisti

Giovanni Sallusti
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Niente, non se ne fanno una ragione. Non è bastato sapere che l'omicida di Civitanova Marche, Filippo Claudio Ferlazzo, fosse invalido al 100% e avesse subito un Tso, né che nel suo gesto orribile non ci fossero moventi razziali, come ha ribadito ieri la procura. Per i commentatori à la page di sinistra, per i paladini dell'antirazzismo in assenza di razzismo, il povero Alika Ogorchukwu è stato ammazzato in quanto nero da un bianco mosso da rabbia xenofoba. La ricostruzione degli inquirenti e le parole del diretto interessato smentiscono questa tesi?

 

Non importa: i teoremi e le ideologie degli intellò progressisti non hanno bisogno di essere suffragate dalla realtà; si applicano alla realtà e pretendono che essa si conformi ai loro pregiudizi. Così, dopo il vergognoso tweet di Formigli che provocava la Meloni e Salvini per i loro mancati «post indignati» a difesa del nigeriano (post poi puntualmente arrivati), ieri si sono sbizzarrite le firme prestigiose dei giornali "dalla parte giusta". Sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo si ostinava a cercare tracce di razzismo dove non c'è. «Siamo di fronte a un omicidio a sfondo razziale?», si chiedeva. «Preferiremmo rispondere di no; ma sarebbe sbagliato»: «se questo è accaduto», aggiungeva infatti, «è perché il germe del razzismo è ormai tra noi» in quanto l'assassino ha «creduto di poter disporre del corpo che stava sotto di lui, come se appartenesse a un essere a lui inferiore». Siamo alla pura congettura, non nutrita da grande onestà intellettuale...

 

La stessa di cui non ha dato dimostrazione il direttore de La Stampa Massimo Giannini che, riprendendo un paragone già fatto da Gianni Riotta (a proposito di originalità...), definiva Alika «il George Floyd italiano», il nero ucciso soffocato negli Usa da un poliziotto: paragone sballato, perché nel caso americano c'era un evidente movente razziale. Poi Giannini invitava i leader dei partiti italiani a partecipare ai funerali di Alika (tutti tranne Letta, chissà perché) e a non dividersi con «le solite polemiche sull'immigrazione», salvo ribadire che la presenza alle esequie del nigeriano ucciso servirà a «dimostrare che in Italia la xenofobia e l'odio razziale non saranno più tollerati» (aridaje, Massimo, il razzismo non c'entra!). Per non parlare di Repubblica che, intervistando la sorella di El Boussettaoui, l'uomo ucciso a Voghera da un ex assessore leghista, accreditava la tesi per cui anche quanti hanno assistito indifferenti all'assassinio non sono intervenuti perché (tutti) razzisti.

Siamo ai limiti dell'ossessione, e nel cuore della strumentalizzazione becera: parlare di razzismo a sproposito fa un torto a quanti il razzismo lo subiscono davvero; e soprattutto dimostra come lo spauracchio "Razzismo" serva alla sinistra per sopravvivere con il totem dell'anti-, come capita con il fascismo.

 

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