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Mafia, dopo 50 anni emerge la richiesta di riscatto per la Natività rubata

AdnKronos
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Roma, 24 set. - (AdnKronos) - Nei mesi successivi al furto della Natività del Caravaggio, trafugata nell'ottobre del 1969 dall'Oratorio di San Lorenzo, nel centro storico di Palermo, la mafia entrò in contatto con il parroco dell'Oratorio per fissare un riscatto e le condizioni per la restituzione del dipinto. Per convincere il religioso, don Rocco Benedetto, i criminali inviarono persino un piccolo frammento della Natività. Tuttavia, dopo un primo contatto attraverso un annuncio a pagamento sulle pagine del 'Giornale di Sicilia' la sovrintendenza ai Beni Culturali di Palermo bloccò la trattativa e segnalò don Benedetto alla polizia come possibile complice dei ladri. E il religioso per un certo periodo fini' sotto sorveglianza. A ricostruire questa pagina ancora sconosciuta di quello che è uno dei furti d'arte più famosi e irrisolti del nostro tempo è un video inedito del 2001, di cui dà testimonianza il 'Guardian', in cui il parroco dell'Oratorio - scomparso due anni dopo - rivela le modalità dell'estorsione tentata dalla mafia. Il dipinto - come è emerso decenni dopo - in quel periodo era nell'abitazione di Tano Badalamenti che fece arrivare, spiegava il religioso, una lettera in cui si affermava "Abbiamo il dipinto: se volete fare un patto, dovete far pubblicare un annuncio sul 'Giornale di Sicilia'". Don Benedetto riferì subito la circostanza alla Sovrintendenza che autorizzò la pubblicazione. Due settimane dopo al parroco arrivò una lettera accompagnata dal frammento della Natività: "Andai subito dal sovrintendente e lo informai di quanto stava succedendo: gli lasciai la lettera e il pezzo del dipinto". Ma a quel punto la trattativa fu interrotta e al parroco - finito nel mirino delle forze dell'ordine - furono persino prese le impronte digitali. Nel video 'dimenticato', girato dal regista Massimo D'Anolfi, che all'epoca lavorava a un documentario sulle opere d'arte rubate, don Benedetto riferisce anche delle scuse ricevute in seguito dal sovrintendente: "Ammise di avere fatto uno sbaglio, ma a quel punto il danno era fatto". La storia del Caravaggio tornò a incrociare quella del parroco dell'Oratorio alcuni anni dopo, all'inizio degli anni Settanta quando un prete di Carini lo chiamò per riferirgli di avere visto una fotografia del capolavoro rubato. "Mi disse - spiega nel video - che un dipinto appena restaurato era stato rubato poco dopo ed era convinto che fosse stata la mafia locale e quindi aveva contattato alcuni mafiosi per riaverlo. Mi disse che un giovane era venuto a mostrargli due immagini: una, era la foto del suo dipinto; l'altra, era la Natività. Lui indicò il suo dipinto - un'opera di un artista toscano di fama inferiore - e il quadro gli fu restituito" Don Benedetto afferma di aver fornito alla polizia le nuove informazioni ma anche che non successe nulla. La polizia, secondo il prete, "conosceva da anni la posizione del dipinto. Era nella provincia di Palermo. I mafiosi lo usavano come sfoggio del proprio potere". In effetti un informatore di mafia, Salvatore Cancemi, negli anni Novanta confermò che il Caravaggio veniva esposto in occasione di vertici dei capi mafia come simbolo del loro prestigio. Ma negli anni successivi se ne sono perse le tracce. Nel giugno 2018 la Procura di Palermo ha riaperto l'inchiesta sul furto della Natività dopo che la commissione parlamentare Antimafia aveva presentato i risultati di una propria indagine dicendosi convinta, per bocca dell'allora presidente Rosy Bindi, che "quest'opera non è andata distrutta come si è pensato fino a un certo momento". Secondo l'organismo parlamentare, dopo essere finita nelle mani di Cosa nostra, l'opera sarebbe stata trasferita in Svizzera, fatta a pezzi e venduta dai trafficanti di opere d'arte. "La mafia ne ha ricavato un consistente guadagno - aveva detto Rosy Bindi -. Speriamo di trovarne almeno un frammento. La nostra inchiesta è arrivata fino a questi risultati, sufficienti per riaprire, però, un'inchiesta giudiziaria".

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