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L'archeologia della moda vive in passerella e al cinema

Il gusto per il vintage, i pezzi iconici e l’ingresso sempre più diffuso degli stilisti nei musei: in un saggio il legame dei grandi brand con le proprie radici culturali
di Annalisa Terranovagiovedì 23 ottobre 2025
L'archeologia della moda vive in passerella e al cinema

4' di lettura

La moda è creatività, estro, fantasia, ma anche attenzione alla storia, alle radici, al passato attraverso una geniale compresenza di eredità e futuro che è l’aspetto che Sofia Gnoli vuole mettere in luce nel suo Archeologia della moda (Carocci editore, 260 pp., euro 23), un libro corredato da immagini che accompagnano l’analisi e che esplora i legami tra moda e passato nella contemporaneità, l’amore per il revival, il gusto per il vintage e l’importanza del patrimonio culturale di un brand. Lo spiega bene la sociologa Patrizia Calefato: «Gli abiti raccontano storie, contengono passioni e ricordi, costruiscono una cartografia fatta di tessuti, colori, stili, fruscii depositati come una scrittura nell’archivio della memoria: una scrittura mobile, che modella il passato ma prefigura e figura anche il presente e il futuro».

Gli stilisti attingono dal passato, arricchiscono i loro abiti con dettagli recuperati da altri secoli. E il cinema aiuta i revival. «Negli anni Sessanta-Settanta – scrive Gnoli- dilagò la passione per gli anni Venti e Trenta. Nel 1967 un film come Gangster Story di Arthur Penn influenzò la moda in maniera considerevole. All’indomani dell’uscita della pellicola, Faye Dunaway - con il suo look composto da basco, pullover aderente e gonna longuette- portò alla ribalta lo stile anni Trenta. Nel 1974 un analogo fenomeno revivalistico, questa volta degli anni Venti, si ebbe con la trasposizione cinematografica del romanzo di Francis Scott FitzgeraldIl grande Gatsby». E oggi? L’elemento nostalgico nella moda è divenuto strutturale. «Nei primi decenni del Duemila lo stile continua a guardarsi indietro. I vezzosi baby-doll, le camicie da notte ottocentesche, le scarpe come protesi, gli stivaletti avveniristici effetto Courrèges, gli abiti dal gusto rétro completati da appariscenti maniche a sbuffo sfoggiati da Emma Stone/Bella Baxter nel film di Yorgos Lanthimos Povere creature! insegnano». Oggi le griffe, avverte l’autrice, fanno largo uso del “brand heritage” cioè la strategia che punta a rendere unico un marchio valorizzandone il patrimonio storico. Un obiettivo che i grandi gruppi del lusso hanno presente perché rappresenta un tassello fondamentale della loro identità.

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È così che, grazie a un fitto sistema di acquisizioni e rilanci, «sono tornati a brillare marchi “impolverati” dal tempo. Le griffe utilizzano l’heritage essenzialmente in due modi: da una parte per recuperare pezzi cosiddetti iconici da rileggere e citare, dall’altra per comunicare e promuovere il brand. È in questo senso che va letta la valorizzazione dell’archivio attraverso musei aziendali, mostre e prestiti a celebrità in occasioni speciali altamente mediatiche». Un rossetto, un profumo ma soprattutto una borsa: nascono proprio in questa direzione le numerose riedizioni di quelli che, nel mondo della moda, vengono chiamati modelli “iconici”.
Pensiamo alla Kelly o alla Birkin di Hermès, alla Bamboo o alla Jackie di Gucci, alla Baguette di Fendi o, ancora alla 2.55 di Chanel. C’è un terzo elemento che, accanto al brand heritage e alla narrazione, testimonia l’attenzione della moda per il “classico”, e cioè la funzione degli archivi storici che custodiscono un inestimabile tesoro di documenti, brevetti, prototipi e prodotti. In questo senso «le sfilate diventano uno strumento utile non soltanto a esprimere l’attualità di una griffe, ma anche veicoli ideali per mostrare stralci di storia, quasi fossero dei musei itineranti».

Archeologia della moda significa anche gusto per il vintage. Sofia Gnoli spiega come le star di Hollywood abbiano contribuito alla mania per i pezzi d’antan. «Al Festival di Venezia nel 2023 Amal Clooney si è presentata con abito sottoveste firmato da Galliano per Dior del 2000. In quello stesso anno Nicole Kidman ha calcato il tappeto rosso del met Gala in una nuvola rosa di Chanel del 2004. Miley Cyrus agli Oscar 2024 ha sfoggiato un Bob Mackie degli anni ’70; Caroline Cox, nella stessa occasione, ha optato per un Thierry Mugler anni Ottanta». Innegabile la ricaduta economica: nel 2025 il mercato della moda di seconda mano è molto cresciuto, arrivando a rappresentare, secondo Business of Fashion, circa il 10% del mercato globale e si pronostica una crescita annuale del 12% con il raggiungimento di 350 miliardi di euro entro il 2028. Un elemento dell’economia circolare che certifica come uno dei principali scenari della moda sia legato ormai alle molte vite degli abiti (e degli accessori).

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