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Obama troppo verde. E la benzina sale

La politica energetica ambientalista di Barack contribuisce a far schizzare alle stelle il prezzo dell'oro nero. Aspettando che l'Iran...

Giulio Bucchi
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Quando il prezzo della benzina era balzato a 4 dollari al gallone durante gli anni di Bush (pagare 4 dollari per un gallone, cioè 3,9 litri, è una enormità in America, dove il 90 per cento della popolazione guida auto grosse e che consumano assai) la colpa era del presidente repubblicano. In realtà, è serio dire che il prezzo del petrolio risponde a variabili internazionali, come la domanda in Cina e nei paesi emergenti, le crisi geopolitiche che riguardano il Medio Oriente, o il fatto che dal 1990 la quota di chi compra o vende i derivati sul petrolio solo ai fini speculativi, i trader internazionali, è quasi raddoppiata e oggi pesa per il 68% di tutte le transazioni. Che è come dire che solo meno di un terzo, il 32%, degli scambi sui futures del petrolio, avviene per conto di chi poi lo consuma veramente, come le compagnie aeree o le altre imprese che si assicurano il prezzo futuro per stabilizzare i costi del loro business. Detto questo, la produzione di per sé di nuovo greggio da immettere nei mercati, ovviamente, ha il suo effetto sui prezzi su base regionale, e su questo terreno Bush ha certamente le carte più in regola di Obama. Bush ha sempre cercato di ampliare le zone trivellabili, nel mare o in Alaska, e i democratici si sono sempre messi di mezzo. Obama, al contrario, si è opposto al piano della maggiore società canadese petrolifera, Transcanada, di costruire l'oleodotto Keystone, che avrebbe consentito il trasporto del greggio canadese alle raffinerie negli stati meridionali degli Usa: un'opera che avrebbe creato occupazione e diminuito la necessità di comprare greggio dagli sceicchi. Inoltre, dopo l'incidente della BP, Obama ha imposto una moratoria, insensata dal punto di vista della sicurezza tecnologica, alle trivellazioni marine non solo nel Golfo del Messico, ma anche in altri tratti marini dove erano già in programma nuovi sviluppi estrattivi. Infine, sono note le resistenze dell'amministrazione contro lo sfruttamento intensivo della tecnica del fracking (ne abbiamo parlato in un recente Diario qualche giorno fa) , che garantirebbero una fornitura di petrolio domestico che ridurrebbe a zero l'esigenza di dipendere dall'estero per l'intero Paese. La politica energetica verde di Barack è insomma sicuramente più responsabile della crescita del prezzo della benzina alle pompe americane di quanto non lo fosse quella di Bush. E ancora non è entrato nel conto l'eventuale boom di prezzi che verrà se e quando Israele, con o senza l'appoggio Usa, attaccherà l'Iran per impedirgli di farsi la bomba nucleare. Quello sarebbe un costo geopolitico inevitabile, ma se la gente pagherà più caro, per un certo periodo, andare in auto in cambio della eliminazione del rischio che il regime filo terrorista di Teheran diventi una potenza nucleare, almeno quello sarà un costo per un obiettivo serio. di Glauco Maggi twitter@glaucomaggi  

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