Grecia fuori dall'euro: perché "Grexit" costa all'Italia 35 miliardi
A dar credito alle indiscrezioni della stampa tedesca, i contribuenti italiani stanno per perdere qualche decina di miliardi, prestati alla Grecia e destinati a restare sull'Egeo dopo il default di Atene sempre più imminente. E siccome, grazie alla cortina fumogena che continua a coprire tutto quello che riguarda la vicenda, non sanno nemmeno con chi se la devono prendere, è il caso di provare a spiegarglielo. Perché le cose, di per sé, sono chiare e lo sono da parecchio, almeno dalle elezioni del 2012 quando Tsipras ha formulato il suo programma che non è mai cambiato: siccome ci state costringendo a politiche assurde e controproducenti ci risarciamo da soli tenendoci i soldi e nemmeno usciamo dall'euro, poi vediamo cosa ci fate. E malgrado il fumo offuschi la visuale era chiara anche la risposta: niente. Non gli fanno niente, tant'è vero che filtrano le notizie su di un piano per mantenere i finanziamenti della Bce al sistema bancario ellenico anche dopo che il governo, ben presto, smetterà di rimborsare le tranche del debito, in modo che la Grecia possa restare nella moneta unica. Come da programma ufficiale di Syriza, con tanti saluti non solo ai soldi dei contribuenti europei ma anche allo scopo supremo per il quale le menti illuminate che dirigono il continente erano perfino disposte a perderli: dare una bella lezione ai bambini cattivi che non vogliono fare i compiti e salvare così la pelle ai tanti governi Quisling sparsi per l'Europa, a cominciare da quello spagnolo che ormai viene dato per spacciato nonostante la prosopopea sull'impetuosa crescita di un Paese ridotto a festeggiare la deflazione scesa “solo” allo 0,7%. Meglio così, perché per servire a qualcosa è bene che questo delirio finisca dovunque, non solo in Grecia. E se così fosse rimetterci 35 miliardi è il male minore, rispetto a vedere consumi e investimenti pubblici e privati, domanda per le nostre imprese, continuare a tracollare in tutta Europa. Ma bisogna che sia chiaro che la colpa di questa disfatta, se davvero finirà come si inizia ad intuire, non è delle tecnocrazie europee né dei forsennati tedeschi ma di chi li ha lasciati fare. Perché se si può mettere di traverso la Grecia lo poteva fare anche un Paese del G8 con il nono pil al mondo come il nostro, se solo non fosse stato per la coda di paglia lunga così che ci ha condotto ad accodarci senza fiatare e a mettere i nostri soldi per fare gli interessi degli altri, invece che pretendere voce in capitolo per virare su strategie più ragionevoli. Perciò accomodiamoci pure come sempre ad assistere alla vittoria degli altri, ed a goderne di straforo qualche frutto. Perché, se davvero andrà a finire così, di vittoria di Tsipras si tratterà, piena e meritatissima, anche se ce la metteranno tutta a convincerci del contrario ed a raccontarci che è solo solidarietà verso un Paese così in difficoltà da non poter rimborsare i prestiti. Non è che non può, è che non vuole. È tutto qui il succo della pantomima di mesi passati a giocare a “indovina la riforma” in teleconferenza. Pensavano che tirandola per le lunghe, alla fine, dalla macchina in corsa sarebbe saltato fuori prima lui, e invece chissà che non saltino loro. E chiameranno furbizia, perché ciascun dal proprio cuor l'altrui misura, quello che al contrario è puro coraggio. Il coraggio di andare a vedere le carte dell'avversario e scoprire che era solo un bluff. Il coraggio che noi, come i francesi, gli spagnoli e tutti gli altri impegnati a litigarsi il ruolo di Sancho Panza, non abbiamo saputo avere. di Filippo Mazzotti