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Fiat, fuga dalle tasse: Marchionne porta la sede a Londra

Giulio Bucchi
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I camion, i trattori e gli autobus della Fiat saranno formalmente “made in England”. In questa maniera la società che li costruisce pagherà le tasse al Cancelliere dello Scacchiere anziché a Fabrizio Saccomanni. La notizia è contenuta nel documento che Marchionne ha depositato alla Sec (la Consob di Wall Street) perché la nuova società sarà quotata a New York. In Italia, invece, non resterà molto. Si chiamerà DutchCo e sarà il frutto della fusione tra Fiat Industrial e la filiale americana Cnh. Conterrà tutta la parte del gruppo torinese (ma chissà se è corretto chiamarlo ancora così) che non è auto. A cominciare, per esempio, dagli autocarri dell'Iveco. «La società - è scritto nel prospetto - intende operare in modo da essere considerata residente nel Regno Unito». Per lo Stato italiano una perdita secca di 536 milioni per imposte sul reddito e 28 milioni come Irap. In totale circa 600 milioni l'anno che aumenteranno quando il gelo della recessione sarà placato. La scelta è frutto di un semplice calcolo di convenienza: in Italia la Fiat paga il 36%. La Gran Bretagna invece ha avviato un programma di tagli che porterà l'aliquota sulle imprese dal 30% del 2007 al 20% nel 2015. La concorrenza fiscale funziona anche all'interno dell'Unione Europea e naturalmente vince chi offre le condizioni migliori. Mai l'Italia. Un bel risparmio per un gruppo che fattura 25 miliardi e l'anno scorso ha registrato un utile operativo di 2,1 milioni.    La decisione di Marchionne ha suscitato immediate polemiche. Tanto più che l'operazione è molto complessa. La sede della società non sarà più in via Nizza 250 a Torino ma ad Amsterdam dove già è collocata Iveco. La sede operativa sarà a Basildon, nell'Essex, in Cranes Farm Road. Quindi a incassare le tasse sarà il fisco di Sua Maestà. Il fuoco di fila delle proteste non ha tardato a manifestarsi. Il più deciso, ovviamente, Maurizio Landini che chiede l'immediato intervento del governo per bloccare l'emigrazione. A fargli da sponda il vice ministro dell'economia Stefano Fassina che ha dichiarato il governo «contrario» alla decisione della Fiat. Non tutto il governo, a quanto pare. Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture, si è tenuto ben lontano dalle condanne. «È una decisione che deve stimolarci a creare le condizioni affinché le imprese restino in Italia». Probabilmente intorno a questa emigrazione si aprirà un duro braccio di ferro tra Marchionne e l'Agenzia delle Entrate. Il supermanger si mostra consapevole affrettandosi a spiegare che «in ogni caso, DutchCo intende fare in modo che la struttura dei manager e organizzativa sia tale che la società venga considerata residente nel Regno Unito dall'incorporazione, sulla base del trattato fiscale Italia-Regno Unito».  Il problema non è all'ordine del giorno dell'incontro di oggi fra Cameron e Letta. Né sarà facilissimo sollevarlo in futuro. Tanto più che la partita si gioca tutta all'interno dell'Unione europea.  Perché una cosa sono Valentino Rossi o Giancarlo Fisichella che pur abitando stabilmente in Italia avevano fissato la residenza a Montecarlo. Tutt'altra, ovviamente, per un'azienda come la nuova DutchCo che su 68 stabilimenti ne conta appena quattordici in Italia. Inoltre sta progressivamente spostando gli investimenti: Stralis, il modello di punta di casa Iveco sarà fabbricato in Spagna. Quanto accade con camion e trattori è solo il prologo di quanto accadra l'anno prossimo con la fusione tra Fiat e Chrysler. La sede sarà Detroit. Per il fisco italiano si annuncia un altro buco piuttosto consistente. Troppe tasse.

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