Gestori telefonici e smartphone, occhio ai contratti e alle bollette: quanti soldi ti fregano, come lo fanno, come difendersi
Contratti vantaggiosi e offerte convenienti propinate dai gestori telefonici sono la nuova frontiera per spillare soldi ai consumatori, spesso accecati da proposte iniziali al massimo risparmio, ma che con l'andare del tempo nascondo insidie. In soldoni: ci prometto il paradiso, ci ritroviamo all'inferno. Tutto ruota attorno alle modifiche contrattuali praticate della compagnie telefoniche italiane: "Nell'ultimo anno e mezzo Vodafone ha cambiato 14 volte le condizioni dei piani tariffari. Per tre i cambiamenti sono stati addirittura 16", spiega a Il Giornale Emmanuela Bertucci dell'associazione consumatori Aduc, che sottolinea che "le regole su cui gli utenti dovrebbero fare affidamento cambiano ogni settimana". Insomma, un incubo da cui sempre più persone si stanno svegliando: le denunce contro le violazioni sulle modiche dei piani tariffarie e le condizioni dei contratti sono quintuplicate in un anno. Ma come fanno i gestori a farla franca? La modifica del contratto più usata negli ultimi tempi e che ha sollevato più polemiche è il periodo di fatturazione: non più un mese, ma 4 settimane. Sembra la stessa cosa, ma non è così, perché in questo modo le bollette passano da 12 a 13 su base annua con aumento medio dell'8%. Su questo tema è intervenuto l'Agcom: per i telefoni fissi il periodo minimo è mensile. Per la telefonia mobile invece il paletto è 28 giorni, che è fra l'altro la periodicità scelta dai gestori. Sarà il Tar a decidere chi la spunterà dopo il ricorso degli operatori, che vogliono libertà contrattuale. Un altro oggetto del contendere in caso di modifiche è il rispetto delle regole sul diritto di recesso. Anche in questo caso le segnalazioni all'Autorità da parte dei consumatori sono quadruplicate. Denunce soprattutto per i costi ingiustificati per la disattivazione e i ritardi nella lavorazione delle richieste di disdetta. Teoricamente dovrebbe avvenire senza il pagamento di penali a danni del cliente. Le società si possono avvalere dell'unico diritto di richiedere le rate mancanti di dispositivi abbinati al contratto, ad esempio cellulari o tablet. Anche qui però le regole non sono rispettate fino in fondo: le clausole del contratto disdetto devono restare invariate e il pagamento delle rate mancanti deve avvenire negli stessi tempi pattuiti in precedenza. Cosa che spesso non accade, con le compagnie telefoniche che chiedono il saldo in un'unica soluzione. Secondo la nuove norme sulla Concorrenza, i costi di disattivazione dei contratti dovrebbero essere commisurati al valore del contatto e equilibrati con i costi che le compagnie sostengono per la gestione delle pratiche. Costi, fra l'altro, quasi nulli. Le modifiche e i recessi sono fra le opposizioni che i consumatori fanno più comunemente. Così come le proteste sul mancato riscontro ai reclami, è capitato a tutti di essere ignorati dopo una protesta. Restano alti anche gli esposti per gli ostacoli che i gestori creano a chi vuole cambiare operatore telefonico. Ma se i contenziosi sono costati alle compagnie più di 30 milioni, la cifra degli incassi aggiuntivi che possono guadagnare aumentando le tariffe anche di pochi centesimi sono da capogiro. È una furbata perché pochissime persone si stracciano le vesti e si mettono a protestare per somme così esigue. Le autorità che dovrebbero vigilare su queste pratiche, dall'Antitrust a quelle delle Comunicazioni, hanno criteri della misurazione delle sanzioni che sono fissate per legge e la loro stretta sui gestori telefonici è molto relativa. In poche parole, variazioni contrattuali penalizzanti e clausole che sfavoriscono gli utenti sono una vera e propria strategia commerciale, una normale policy.