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A 70 anni da Carta 'La dignità della persona nella Costituzione'

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AdnKronos
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Roma, 9 ott. (Labitalia) - "Fino a che non c'è la possibilità per ogni uomo di lavorare e studiare e trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica". Così diceva Piero Calamandrei in un famoso discorso agli studenti nel 1955. E da questo assunto, oggi più che mai valido, trae ispirazione il libro 'La dignità della persona nella Costituzione' di Bianca Di Giovanni (Ediesse ed.), presentato questa mattina a Roma, nella sede della Cgil, alla presenza dell'autrice, di Morena Piccinini, presidente Inca e autrice della premessa, e di Carlo Smuraglia, presidente emerito dell'Anpi. La presentazione al libro porta invece la firma di Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil. Il patronato della Cgil, Inca, ha promosso la pubblicazione del libro in occasione dei 70 anni della Costituzione che, firmata il 27 dicembre 1947 dall'allora Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, entrò in vigore il 1° gennaio 1948. A settant'anni dalla sua approvazione, "ci dobbiamo interrogare su quanto è stato applicato, quanto invece resta ancora disatteso e quanto è stato infranto, per incuria, per superficialità o peggio ancora a supporto di analisi economiche e sociali, espressioni di 'interessi di parte'", ricorda proprio Morena Piccinini. Quando i Padri costituenti pensavano alla dignità della persona, sicuramente pensavano al lavoro: non a caso nel testo della Carta, il termine più ricorrente, dopo 'legge', è 'lavoro' o 'lavoratori'. Ma non solo. "Ogni articolo è stato pensato e sottoscritto da tutti i Padri costituenti -scrive ancora Piccinini- per scongiurare una qualsiasi forma di rinascita del fascismo e del razzismo". E, ancora, nella Costituzione c'è il grande tema non solo dei diritti, ma della loro tutela, che oggi, in epoca di globalizzazione e di dumping sociale e contrattuale, diventa la vera grande sfida in atto. Una visione, quella della Carta Costituzionale, cui ha contribuito sicuramente Giuseppe Di Vittorio, ancor prima di essere deputato all'Assemblea Costituente. Di Vittorio, infatti, come racconta a Bianca Di Giovanni, Alfonso Pepe, docente di Storia contemporanea all'Università di Teramo, faceva parte della Consulta, l'organismo che aveva funzioni legislative e di governo prima che si formassero l'esecutivo De Gasperi e la Costituente. "Nella fase precedente, appunto, Di Vittorio gioca un ruolo attivissimo proprio sui temi del lavoro, ed è questa la parte in cui prepara le sue idee che poi trasferisce nella Costituente: è lì che si forma il quadro conoscitivo di quelli che erano i problemi dei lavoratori nella crisi del regime fascista e nella crisi sociale ed economica della guerra", spiega Pepe. In quell'assemblea, che ha anche funzioni di governo, Di Vittorio si occupa di assistenza, degli sfollati, di gratifiche natalizie, di malattie, di infortuni. Un lavoro che verrà poi riportato interamente nella Costituente, dove troverà maggiore sistematicità. Così come il leader dei braccianti pugliesi lottò per affermare il ruolo primario del sindacato nella tutela la contrattuale dei lavoratori, anche contro un avversario del calibro di Amintore Fanfani, autore dell'articolo 1 della Costituzione, che sosteneva come i contratti dovessero avere, in base al principio della giusta remunerazione familiare, una sorta di inquadramento formale da parte dello Stato. "Per Di Vittorio il tema centrale della Costituente è il ruolo centrale del sindacato nelle tutele dirette dei lavoratori, lasciando allo Stato una funzione esterna, di sostegno e promozione", dice Pepe. La formula di mediazione trovata è che lo Stato interviene, ma a sostegno dei sindacati. Su questa base si costruirà la legislazione successiva con lo Statuto dei diritti.

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