Il Canada, si sa, è un Paese solido, con un debito pubblico attorno all’80% del Pil, per la verità con un tasso di cambio oggi sacrificato nei confronti del dollaro americano, ma che promette di risalire se l’oro o il gas da scisti prenderanno il volo sull’onda della crisi ucraina o chissà che altro. Un risparmiatore, in cerca di una buona diversificazione con un rischio ragionevole, potrebbe decidere di puntare una parte dei suoi soldi in una buona obbligazione aurifera o di una banca, tra le migliori del mondo. Pessima idea, viene da obiettare, vista l’entità del prelievo sugli interessi: il 26%, secondo le nuove regole, più Tobin tax e “patrimonialina” del 2%. Un salasso che si può evitare con un sistema perfettamente legale che permette di investire in dollari canadesi o americani, sterline, corone norvegesi piuttosto che dollari australiani o in diverse altre valute alle stesse condizioni fiscali previste per i Bot. Vediamo come. La legge italiana prevede che «sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50 per cento (ovvero la stessa tassazione prevista per il debito pubblico italiano ndr.) per la parte maturata nel periodo di possesso, gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari dovuti da soggetti non residenti. L’imposta è applicata nella misura del 12,50 per cento anche sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e degli altri titoli di cui all’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, nonché di quelli con regime fiscale equiparato, emessi all’estero a decorrere dal 10 settembre 1992, indipendentemente dalla scadenza». Ovvero, i titoli emessi da 37 (trentasette) istituzioni internazionali godono delle stesse condizioni di Bot e Btp. Tra queste spiccano, per liquidità e varietà dell’offerta, le obbligazioni emesse dalla Bei, Birs, Bers, Bri eccetera. Fino a pochi giorni fa questi titoli, dotati di un rating ben superiore a quello della Repubblica italiana meritavano attenzione soprattutto come paracadute nei confronti di un’eventuale crisi dell’euro. Questo perché l’offerta della Bei si estende a buona parte delle valute più negoziate sui mercati internazionali. Oggi, a queste considerazioni “difensive”, se ne aggiunge una ben più convincente: il trattamento fiscale. Ma siamo certi che le condizioni non cambieranno? Per carità, in assenza di un articolato preciso, non si può essere certi di nulla. Basti, al proposito, la polemica scoppiata un anno fa quando una banca praticò, in assenza di indicazioni esplicite, la ritenuta del 20% sulle obbligazioni emesse dalla Efsf, promossa dall’Unione Europea. Un’assurdità, visto che si trattava, al pari degli altri emittenti citati, di un’obbligazione della comunità di Bruxelles. Ma qualche burocrate, prima di allinearsi, fece notare che il nome Efsf non figurava nell’elenco degli enti esenti. Com’era ovvio visto che il fondo è stato creato nel 2011 mentre l’elenco è stato aggiornato l’ultima volta nel 1993... Ma è quasi impossibile che l’inghippo si ripeta per la Bei o altre istituzioni internazionali: le obbligazioni della Banca europea per gli investimenti sono state (e saranno) un importante canale di finanziamento per le imprese italiane, non meno prezioso dei Bot o Btp. Perciò, chi vuol usufruire della ritenuta del 12,5% , può coltivare un giardinetto di titoli Bei. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. L’estate scorsa, il sito di consulenza Advise Only proponeva, a mo’ di esempio, questo cocktail di titoli: a) l’emissione BEI in dollari australiani 01/2021, cedola 6,25% (codice ISIN: AU3CB0176675), che offre interessi superiori al 4%, in linea con il tasso di sconto del Paese, alla data di redazione di questo articolo offre un rendimento del 4,7%; b) l’emissione della Banca della ricostruzione e dello sviluppo, la Birs, scadenza 3/2017, cedola 3.25% in corone norvegesi (ISIN:XS0752103530), con rendimento attorno al 2%%; c) il titolo BEI in dollari canadesi 4/2018, cedola 1,75% (ISIN: XS0921767116), con rendimento intorno al 2,5%. Naturalmente, questi investimenti non tengono conto del rischio-cambio per chi vive in Italia ed impiega gli euro. Ma la moneta unica, a detta dello stesso presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, oggi mostra rischi di sopravvalutazione. Insomma, oltre a risparmiare sul prelievo fiscale e a spuntare rendimenti competitivi, seppur bassi, con quelli delle emissioni italiane o spagnole (per non parlare dei Bund tedeschi), non è escluso che si possa fare anche un guadagno sul fronte del cambio. Senza dimenticare che i titoli Bei, forti di un rating tripla A, sono facilmente reperibili e negoziabili nella maggior parte delle banche. E così si può aggirare una norma che tratta un risparmiatore alla stregua di uno speculatore di professione. In Francia ed in Germania, accanto all’aliquota del 26%, sono previsti incentivi per i “cassettisti” cioè per le famiglie che detengono i titoli per un lungo periodo. Un provvedimento del genere , cioè gli incentivi per i piani individuali di risparmio, erano previsti in un provvedimento del luglio 2011, ma non se ne è fatto nulla. di Antonio Spampinato
