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Matteo Salvini, i deliri di "Repubblica" sul leghista nel governo Draghi: il titolo con cui si coprono di ridicolo

Giovanni Sallusti
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Per capire la realtà di questi giorni, dovete prendere la sua rappresentazione mediatica, e ribaltarla. Le soluzioni sono i problemi, gli irresponsabili sono responsabili, i cocchi dell'establishment sono gli impresentabili. Prendiamo la falla più macroscopica nel racconto, dicesi ossessione Salvini. È un disturbo monomaniacale che rigira la frittata così: la stortura è la partecipazione del maggior partito italiano a un governo di unità nazionale invocato dal presidente della Repubblica. È un controsenso evidente a un alunno svogliato di terza elementare, eppure stanno provando a contrabbandarcelo. Repubblica titolava ieri a caratteri cubitali: «Governo, Draghi detta le condizioni a Salvini». L'equilibrata cronaca suonava più o meno: il Professore è lietissimo di formare un governo con scienziati della politica e dell'economia del calibro di Vito Crimi e Nicola Zingaretti, la sua unica preoccupazione sono le sorprese che potrebbero arrivare dai barbari che amministrano regioni arretrate come la Lombardia e il Veneto. E tra le ferree condizioni poste al Capitano ci sarebbe il «rispetto dei diritti umani», come se il medesimo non chiedesse sempre di «guardare alla democrazia e alle libertà dell'Occidente», a differenza dei fremiti d'amore giallorossi verso il totalitarismo cinese. 

 

Un luogo dove proprio non si danno pace del fatto che Salvini non se ne stia buono nel ghetto che vorrebbero cucirgli addosso è il salotto tivù di Lilli Gruber. La scrittrice (scusaci, Virginia Woolf) Michela Murgia annota amareggiata: «Riuscirà a far andare giù ogni cambio di idea alla sua base industrialotta», ostentando il vero razzismo contemporaneo, quello di chi cazzeggia verso chi produce. «Se fosse per me non toccherebbe palla, a quel tavolo non si dovrebbe sedere», continua la nota democratica, spalleggiata dal direttore di Domani Stefano Feltri: «È capace di qualunque cosa ed è molto pericoloso che adesso sia così amichevole» (cioè Salvini sbaglia qualunque posizione prenda, è «pericoloso» in sé). Intanto, nel mondo vero gli idoli del circo mediatico progressista si comportano come segue. Beppe Grillo, l'Elevato, il Garante, il Capocomico, insomma il nulla a capo del nulla a Cinque Stelle, cala un veto col suo linguaggio da spaccone inverosimile: «Ho detto a Draghi che la Lega non deve entrare», contraddicendo platealmente l'appello di Mattarella. Ma soprattuto, tiene il governo d'emergenza, e quindi il Paese, appesi all'esito della fantomatica votazione su «Rousseau», il verbo del cretinismo grillino. Via al voto, voto sospeso, sì, no, forse. Alla fine, le imprescindibili consultazioni si aprono oggi. 

 

Mario Draghi, l'uomo che ha sfidato e sconfitto i falchi della Bundesbank, in balìa dell'ultimo nerd complottista dal clic compulsivo. Non fa una figura migliore il partito «responsabile» per eccellenza, il Pd, che per mesi ha fatto coincidere le sorti della nazione in pandemia con le sorti di Giuseppe Conte in bulimia di potere. Scandalo di fronte al Sì salviniano a Draghi, pressioni del tutto irrituali su quest' ultimo per «partire dalla vecchia maggioranza», minacce di appoggio esterno ritrattate alla prima alzata di sopracciglio del Quirinale, Zingaretti che ritira il veto a denti stretti solo per far ribadire a Orlando che «serve una maggioranza omogenea», ovvero: fuori l'Uomo Nero. Che in queste ore si sta rivelando l'unico responsabile e presentabile. Fuori dalle segreterie dei partiti e dalle redazioni dei giornali, gli impresentabili, mai come oggi, sono loro.

 

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