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Supermercato, stesso pacco ma meno cibo: così le multinazionali ci fregano, le tre foto che lo dimostrano

Francesco Specchia
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Lo scrittore Richard Matheson nel 1956 pubblicò il capolavoro di fantascienza The Incredible Shrinking Man in cui un signore si rimpiccioliva di tre millimetri al giorno tra la feroce indifferenza propria e degli astanti. Ora lo stesso fenomeno avviene per le merci e sui banconi dei supermercati. Si chiama Shrinkflation, inflazione occulta (stessa radice, to shrink, rimpicciolire, più la contrazione di inflation, inflazione). Trattasi di fenomeno bizzarro. Voi, consumatori generici e disadattati padri di famiglia, non ve ne accorgete da soli. Ci penserà vostro figlio di sette anni che ha il radar sintonizzato sui centilitri delle bottiglie di Coca Cola, sulla misura dei rigatoni, sulla tara e sul peso netto delle patatine in sacchetto, a farvi notare che qualcosa è cambiato. «Papà, ci hanno fregato: qua mancano un po' di patatine...», vi dirà.

IL CALCOLO - Ed eccovi subito a calcolare il lordo del pacchetto, ed eccovi constatare che l'erede ha ragione. Cioè: si restringe quasi impercettibilmente la quantità del prodotto, ma il prezzo resta invariato. Il Financial Times è stato il primo a denunciare la pratica: sacchetti di patatine, appunto, riempiti con cinque o dieci sfoglie in meno; rotoli di carta igienica da cui mancano una trentina di strappi; qualche decilitro di sapone in meno nelle bottiglie; flaconi di detersivo non riempiti del tutto; barrette di cioccolato, specie quelle a tocchi triangolari, meno pesanti e con la distanza drammaticamente aumentata tra i blocchetti. La guerra d'Ucraina e l'impennata delle materie prima hanno prodotto anche questo.

 

 

Se ne sono accorte le associazioni di consumatori (anzi, probabilmente i figli degli associati) che ora stanno denunciando questi atteggiamenti subdoli, atti a sballottare la buona fede dei clienti e, nel contempo, a scaricare su di loro l'aumento del prezzo. Se ne sono accorti i consumatori, ma non se n'è accorta la politica che, in tema d'agroalimentare, ha ancora lo sguardo fisso sulla filiera del frumento ucraino. Secondo le stime preliminari Istat, l'inflazione a marzo ha toccato quota +6,7% su base annua, aumentando di un ulteriore punto percentuale rispetto al mese precedente. Anche qui, a trascinare la crescita è l'energia, il cui prezzo segnerebbe una variazione annuale del +52,9%, seguito dai beni alimentari, il cui costo sarebbe aumentato del +4,0% rispetto a un anno fa.

 

Epperò, se i rincari in bolletta (o alla pompa) sono stati notati da molti, gli effetti dell'inflazione paiono scomparire sullo scontrino del supermercato.
Ma è la shrinkflation; è un'illusione ottica, quanto la dimensione ristretta al secondo sguardo della bottiglia di Pepsi sventolata sotto il naso dai miei ragazzi. Mi faccio spiegare il rimpicciolimento dei prodotti da un collega esperto di scaffali.

 

 

 

LA CONFEZIONE - Mi confonde ancora di più: «Ipotizziamo che un anno fa il costo di una confezione di spaghetti fosse di 2,15 euro (pari a 215 centesimi) per 500 grammi di prodotto. Di conseguenza il prezzo al grammo, ottenuto dividendo il prezzo della confezione per il peso del prodotto venduto (215 ÷ 500), era di 0,43 centesimi al grammo». Ancora: «Oggi il prezzo è rimasto invariato, quindi sempre 2,15 euro (215 centesimi), mala confezione non contiene più 500 grammi di spaghetti, bensì 478. Il prezzo al grammo quindi ora è di circa 0,45 centesimi, il 4% in più rispetto a un anno fa».

Conclusione: sì, ci hanno fregato. La sòla ovviamente è globale, e viene dagli Stati Uniti, dove i consumatori sono tendenzialmente crocefissi. Da noi risulta una pratica scorrettissima, se non è "comunicata correttamente", cosa che non avviene praticamente mai. Conto le patatine e mi consolo pensando, almeno, di essermi messo in stretto regime alimentare senza accorgermene. Con i soldi delle mia cresta c'è gente che si paga l'inflazione, io, figli o non figli, avrei pagato un dietologo... 

 

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